Sessant’anni fa, il 3 gennaio 1954, l’Italia conosceva la televisione attraverso un unico canale, quello della Rai – Radio Televisione Italiana. Fulvia Colombo, la prima signorina buonasera, prendeva per mano lo spettatore e lo introduceva, dunque, nel magico mondo del tubo catodico dove ogni sogno poteva diventare reale. “Mamma Rai” è stata per tanti anni il punto di riferimento del popolo italiano, l’istituzione mediatica per eccellenza, garanzia di qualità, informazione, cultura… in una parola: aggiornamento. Professionalità, impegno e un grande dispiego di energie, risorse e mezzi hanno reso l’azienda una presenza costante e stabile nelle case degli italiani: storia e tradizione sono, da sempre, i grandi fiori all’occhiello di una politica aziendale concepita tenendo chiara la mission di fornire un servizio pubblico all’utente. Oggi, a sessant’anni da quel 3 gennaio, ci si chiede, però, quali siano le prospettive di una rete vittima dell’inarrestabile boom mediatico che vive il mondo, all’alba del 2014. Urge una riscrittura, un processo di cambiamento necessario per tornare a fare in modo che la Rai torni ad essere il baluardo dell’aggiornamento. Per rilanciare la Rai servono sicuramente tanti soldi ma serve anche il coraggio e la voglia di rischiare, di voltare pagina una volta per tutte, di staccarsi dalle catene e dai dettami della politica, di lasciare che i vecchi punti di riferimento vengano salutati con doveroso rispetto e gratitudine, ovviamente. La Rai ha bisogno che il nuovo possa finalmente avanzare per tornare ad interessare il pubblico, a coinvolgerlo, ad emozionarlo, ad istruirlo. Il futuro è una sfida ma quello che oggi fa paura, domani potrà essere storia.
Raffaella Sbrescia