La scelta di Sophie: recensione del capolavoro di Alan J. Pakula

La scelta di Sophie (1982) è uno di quei film che non dimentichi mai più. La pellicola affascina sin dalla prima sequenza con l’immagine primordiale del viaggio che richiama alla mente l’idea di un inizio e di una imminente trasformazione.

La scelta di Sophie: recensione

Siamo nel 1947. La voce narrante di Stingo definisce il contesto. Siamo diretti dalla Virginia verso New York, dove si svilupperà parte della storia. I piani temporali sono tre: un ipotetico futuro, che non vediamo mai, un passato prossimo e un trapassato. Stingo (Peter MacNicol) vuole fare lo scrittore e decide di andare nella Sodoma del Nord (così chiamava New York suo padre), stabilendosi poi a Brooklyn. Lui è vergine sia nel corpo, che nella psiche perché non ha conosciuto né donna né dolore. La scrittura è acerba, quindi per esprimere su carta dei vissuti ha bisogno di sperimentare e così la vita gliene dà subito occasione. Nella casa rosa conosce infatti una strampalata coppia di amanti.

Sophie (Meryl Streep) è una bionda polacca, che ha le unghie laccate di rosso, proprio come le seducenti labbra. Ha trent’anni ed espia i suoi peccati attraverso un amore tormentato: Nathan (Kevin Kline) è ossessivo ed imprevedibile quanto passionale e affascinante. I fantasmi di Sophie arrivano dagli angoli più reconditi della sua psiche ed illuminano gli occhi non di gioia bensì di lacrime che non riescono nemmeno a scendere tanto è atroce il dolore della colpa.

La scelta di Sophie

Le scale come viatico del trapasso

La scena in cui Stingo conosce Sophie e Nathan è carica di pathos e di dramma. Alla passione folle dei due, che viene subito resa evidente dal dondolio del lampadario appeso al soffitto della camera di Stingo, si alternano le scenate di Nathan e la cedevolezza di lei che sulle scale lo implora di non andarsene. E sono proprio le scale il viatico per il trapasso. Dalle scale della metropolitana alle scale che conducono alla stanza dei due amanti: il grande regista Alan Jay Pakula sfrutta ne La scelta di Sophie difatti le scalinate per dare l’idea del viaggio verso qualcosa o verso qualcuno da parte dell’Io narrante.

Ben presto tra Stingo, Nathan e Sophie si crea un’intensa amicizia. Ed è proprio Sophie che con i suoi occhi espressivi ci porta su piani temporali diversi che Pakula interseca con grande maestria. Sappiamo che Sophie è sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz e che proprio lì ha perso i suoi bambini. Sappiamo che venerava il padre e poi con sconcerto scopriamo che l’uomo era un fervente antisemita. Padri brutali. Padri senza pietà. Padri padroni! Piano piano capiamo che Sophie ha dovuto fare una scelta sofferta e dolorosa. E a causa di quella scelta non c’è più pace per lei.

Trovi il libro da cui è tratto il film qui

La scelta di Sophie tra ossessione e dolore…

La donna sarà costretta, proprio come nella legge del contrappasso, a rifare per analogia costantemente quella scelta in amore e dunque nella vita.  Si troverà a decidere infatti tra il rassicurante Stingo e l’ossessivo Nathan che non perde occasione per ricordarle dell’Olocausto. Sophie è una donna molto passiva che rievoca costantemente il mito di Kore/Persefone, la figlia che precipita negli inferi per acquisire consapevolezza di Sé. Eternamente fanciulla e priva di coraggio, oltre che di capacità decisionale, Sophie infatti è in balia delle figure maschili già prima del dramma dell’Olocausto. Così questo personaggio non sceglie la propria rivendicazione e antepone al coraggio non la vulnerabilità bensì la bugia e il compromesso.

Un film dirompente

 La macchina da presa di Pakula non giudica, al contrario documenta con una forza drammatica dirompente senza mai disorientarci, perché il filo conduttore è sempre quella scelta e quindi il senso di colpa dei sopravvissuti.

L’io narrante dunque ci guida e non ci fa perdere la bussola ma è la macchina da presa che, insieme alla sceneggiatura e al montaggio, confeziona un film che crea una forte tensione drammatica con delicata incisività facendo percepire tutto il dolore di Sophie. Meryl Streep è sensazionale. Il corpo magro e i capelli rasati, insieme all’andatura traballante nel campo di Auschwitz, hanno reso immortali quelle scene!

Il film si aggiudicò difatti ben cinque nominations agli Oscar (concretizzatesi con una statuetta alla migliore attrice protagonista), un Golden Globe e altri riconoscimenti. Il soggetto è il romanzo omonimo di William Styron, su cui Pakula scrisse la sceneggiatura non originale. Molto efficaci sono anche le musiche di Marvin Hamlisch. (Maria Ianniciello)

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