Uno stetoscopio “per ascoltare il cuore delle persone”, il lascito del fratello medico Edmund diventa quasi presagio del cammino che il piccolo Lolek avrebbe intrapreso da lì a qualche anno. Il cuore dei credenti si ferma quel 13 maggio 1981, il giorno dell’attentato in Piazza San Pietro, quando Giovanni Paolo II viene ferito e si accascia tra le braccia del suo fidatissimo segretario Mons. Dziwisz. E’ l’unico momento della storia in cui Karol è il Papa. Un viaggio a ritroso nel tempo, a partire da Wadowice. La famiglia, la madre adorata, il fratello, il papà, gli amici di infanzia. E’ il 1929 e il piccolo Karol ha 9 anni (interpretato da Alessandro Bendinelli). Le difficoltà che erano di tutti. Una madre persa troppo presto, il 13 aprile 1929 e un fratello che corona il sogno di diventare medico. In un gioco di flashback iper tecnologici, il regista Duccio Forzano ricostruisce tutta la vita della famiglia. L’addio del fratello Edmund, il trasferimento a Cracovia il fervore artistico di Karol, attore nello Studio 39, l’occupazione nazista, la discriminazione verso gli ebrei, il lavoro in miniera, la personalità del giovane Wojtyla che comincia a farsi strada nei suoi versi e nei rapporti con gli ambienti che frequenta, siano essi artistici o lavorativi, pregna di profonda spiritualità. La storia prosegue fino alla nomina quale Arcivescovo di Cracovia, i lavori del Concilio Vaticano II nel 1965, il soglio pontificio.
Di Karol Wojtyla sapevamo già tutto. Della sua vita, della sua morte, della sua imminente canonizzazione. La curiosità di un lavoro così complesso, l’utilizzo degli espedienti registici, per i quali Forzano è noto, ci hanno portato ad assistere a questo spettacolo. Se l’utilizzo del palco di specchi ha sortito un effetto, se vogliamo, affascinante per un teatro, quello degli olomonitor e delle videoscene lascia perlomeno perplessi, più che altro per l’uso eccessivo. Se ormai velatini e proiezioni si stanno facendo largo nei teatri, non si vede la necessità di scene interpretate dagli stessi attori del cast, ma proiettate sugli schermi. Alla lunga, si ha l’impressione di essere in uno studio televisivo. Può piacere oppure no, ma non convince. La storia viene rispettata e non aggiunge nulla di nuovo a quanto già conosciuto. Gli interpreti sul palco sono sicuramente bravi, recitano e, soprattutto, cantano benissimo. Il corpo di ballo esegue coreografie efficaci. Le musiche originali di Noa e dei Solis Sting Quartet sono di ottimo livello, ma il ritmo dell’opera è lento, in alcuni momenti esasperatamente. Eccellenti le performance di Roberto Rossetti, nel ruolo del fratello di Karol, e di Matteo Macchioni nel ruolo di Don Stanislao Dziwisz, voce incantevole. Nel complesso, un’opera realizzata con cura, ma che non emoziona. Le stesse scene, totalmente realizzate con proiezioni, sono certamente belle, ma ci sembrano fredde, asettiche. E, per raccontare un uomo che ha fatto del calore umano la sua caratteristica più immediata, si poteva fare di meglio. Spazio alla modernità d’accordo, ma il teatro pretende l’essere umano sul palco, in contatto diretto col pubblico, in uno scambio reciproco di umori e sensazioni. Le chiamano emozioni.
Paolo Leone
Scheda Spettacolo
Teatro Brancaccio di Roma – In scena dal 15 aprile al 4 maggio 2014
Scritto da Duccio Forzano, Patrizia Barsotti, Donatella Damato, Gaetano Stella.
Regia di Duccio Forzano; Collaborazione alla regia di Francesca Satta Flores; Musiche originali di Noa e dei Solis Sting Quartet; Videoscenografie di Giuseppe Ragazzini; Scenografia di Nicola Cattaneo; Coreografie di Tuccio Rigano; Costumi di Maria Sabato; Luci di Francesco De Siano
Attori: Alessandro Bendinelli (Karol bambino); Lisa Angelillo (la madre Emilia); Simone Pieroni (il padre Karol); Roberto Rossetti (il fratello Edmund); Virgilio Brancaccio (Karol uomo e in abito talare); Beatrice Arnera (Tesia); Matteo Macchioni (Don Stanislaw Dziwisz); Jacopo Bruno (l’amico Jurek).