All’Arena di Campo San Polo, Venezia “Le mani sulla città” (1963) di Francesco Rosi a 50 anni dal Leone d’oro in una nuova copia restaurata per l’occasione, in prima mondiale.
La pellicola- Le mani sulla città di Francesco Rosi (Leone d’oro alla carriera della Mostra di Venezia 2012) è un’opera fondamentale della storia del cinema italiano, un film-denuncia che racconta l’intreccio tra politica e poteri economici in una Napoli devastata dalla speculazione edilizia. Una magistrale interpretazione di Rod Steiger, un affresco di grande potenza visiva, con una memorabile fotografia in bianco e nero di Gianni Di Venanzo, le cui sfumature saranno di nuovo apprezzabili su grande schermo.
La trama- Nel film, il crollo di un palazzo mette in luce gli intrallazzi dell’astuto imprenditore edile Edoardo Nottola (Rod Steiger), che vuole piegare ai propri fini il piano regolatore della città. Nottola aspira a diventare assessore comunale, ma con il crollo del condominio vede compromesso il suo prestigio. Così abbandona il partito di destra per il quale voleva candidarsi, passa a quello di centro e viene eletto. Nonostante le proteste dell’opposizione, Nottola diventa assessore all’edilizia e apre indisturbato nuovi cantieri.
“I personaggi e i fatti sono immaginari, ma autentica è la realtà che li produce”. Con la sua tecnica semidocumentaristica, Francesco Rosi si preoccupa di esporre i fatti con rigore e di mettere continuamente a confronto idee e posizioni politiche, senza per questo rinunciare al proprio inequivocabile giudizio. Nel film l’equilibrio fra la realtà e la finzione, caratteristico di Rosi, raggiunge la perfezione anche attraverso la verosimiglianza delle interpretazioni, sia di un grande attore hollywoodiano come Rod Steiger nel ruolo del protagonista, sia di un politico di professione come Carlo Fermariello. Anche in Le mani sulla città, come in Salvatore Giuliano, la fotografia di Gianni Di Venanzo offre i giusti toni al racconto, ricorrendo a immagini contrastate (per sottolineare il duello oratorio tra gli speculatori e l’opposizione) o a impasti grigi (da reportage) per la descrizione degli ambienti. Con Le mani sulla città, quarto film di Rosi, scritto anche da Raffaele La Capria, prodotto da Lionello Santi per la Galatea Film e dalla Societé Cinématographique Lyre, il regista ottenne la definitiva consacrazione, raccogliendo e rinnovando la difficile eredità del Neorealismo.
Francesco Rosi- (Napoli, 1922) si afferma come autore proprio alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1958 con La sfida, che ottiene il Premio Speciale della Giuria. In quel film, girato nel mercato ortofrutticolo di Napoli, come nel successivo I magliari (1959, premiato a San Sebastián), ambientato tra venditori di stoffe e tappeti ai limiti della legalità, è già presente quel dato cronachistico che, filtrato dalla finzione drammatica, costituisce la peculiarità del suo cinema. In Salvatore Giuliano (1961), Orso d’argento a Berlino, l’uso di materiale di repertorio caratterizza uno stile da reportage giornalistico di rara efficacia, inaugurando un nuovo tipo di cinema politico, documentato e legato alla realtà più scomoda, sempre rivolto a capire il presente anche quando parte da materiali storici. Ottiene la definitiva consacrazione vincendo il Leone d’oro a Venezia con La mani sulla città. Torna alla Mostra di Venezia nel 1970 con un altro film di forte impegno civile, Uomini contro, tratto da Un anno sull’altopiano di Lussu, fornendo uno sguardo privo di retorica della prima guerra mondiale.
I successi- Il caso Mattei (1972), Palma d’oro a Cannes, segna il ritorno allo stile del reportage nella ricostruzione delle vicende del presidente dell’Eni (interpretato da Gian Maria Volonté, premiato a Cannes con una Menzione speciale), fino alla sua morte in circostanze mai chiarite, gettando una luce inquietante sulle connivenze tra potere politico e oscure trame destabilizzanti. Il successivo Lucky Luciano (1975), nuovamente con Volonté, ricostruisce gli ultimi anni di vita che il boss trascorre in Italia portando nella tomba i suoi segreti.
In seguito, per il suo alto cinema d’impegno, Rosi si rivolge spesso a testi letterari. In Cadaveri eccellenti (1976), premio David di Donatello per il miglior film e la miglior regia, tratto da Il contesto di Sciascia, si sofferma sulla spirale del terrorismo e le compromissioni del potere. Da Carlo Levi trae Cristo si è fermato a Eboli (1979), David di Donatello per il miglior film e la miglior regia, vincitore al Festival di Mosca, premiato come miglior film straniero ai Bafta, gli “Oscar” britannici. Rosi realizza quindi Tre fratelli (1981), in cui riflette sugli anni di piombo (David di Donatello per la miglior regia e per la miglior sceneggiatura con Tonino Guerra, Nastro d’argento per la miglior regia), e in seguito Carmen (1984) dall’opera di Bizet (David di Donatello per il miglior film e la miglior regia). E’ poi la volta di Cronaca di una morte annunciata (1987), tratto dall’omonimo romanzo di Márquez (in Concorso a Cannes), Dimenticare Palermo (1990), scritto con Tonino Guerra e Gore Vidal, e La tregua (1997) da Primo Levi, in Concorso a Cannes, premio David di Donatello per il miglior film e la miglior regia. In gioventù vicino agli esponenti della cultura napoletana del dopoguerra (Patroni Griffi, La Capria, Ghirelli), Francesco Rosi prima de La sfida si è formato alla scuola di Luchino Visconti, suo aiuto-regista per La terra trema, ed è quindi stato aiuto-regista di Michelangelo Antonioni e Mario Monicelli.
Romina Capone