Liprando, la musica e “La vita inquieta”

Liprando
Liprando

Liprando, nome d’arte di Francesco Lo Presti, è un musicista e cantautore di Caserta. Da sempre legato alla musica, ama seguire le infinite vie della ricerca strumentale. Membro fondatore dei Bradipos IV, si dedica già da svariato tempo ad alcuni progetti da solista. In quest’intervista ci racconta il suo approccio alla musica e tutte le ultime novità del suo variegato percorso artistico.

Francesco Lo Presti , in arte Liprando, come nasce e come si sviluppa il suo percorso artistico?

In realtà, la passione per la musica mi accompagna sin da bambino. Basti pensare che all’età di circa sette/otto anni mi divertivo con una vecchia tastiera Bontempi, che era a casa di mio nonno, con la quale registravo strambe composizioni musicali che poi riunivo in una sorta di micro-album su audio-cassette, a cui davo poi un titolo, disegnando la copertina e così via. In generale, ho ascoltato, e ascolto tuttora, tanta musica ed ho avuto la fortuna, sin da piccolo, di potermi confrontare con gente che suonava, che mi ha insegnato ad unire lo studio necessario al mio evidente istinto musicale . Da adolescente ho avuto esperienze con diverse band della mia città, così come da solo, girando in vari locali e localini dove, armato delle mia chitarra acustica, portavo le mie prime canzoni. Successivamente, è nata l’esperienza dei Bradipos con cui il vissuto musicale si è fatto concreto, anche grazie ai riscontri oggettivi che le nostre produzioni hanno ottenuto. Da lì in poi, in estrema sintesi, è stato un susseguirsi di eventi: concerti un po’ ovunque (Italia, Europa, USA), collaborazioni con il cinema e con il teatro, tantissimi incontri ed esperienze artistiche e personali che, di volta in volta, hanno comportato nuovi sviluppi. In definitiva, volendo trovare un filo conduttore che tenga insieme l’intero percorso, credo debba essere rintracciato in un interesse naturale per le forme e le possibilità del suono, accompagnato dalla necessità di esprimersi attraverso il suono, nella forma canzone e non solo. Insomma, credo che si tratti di qualcosa che prescinde dalla mia volontà; direi che, sostanzialmente, pressoché da sempre, ho provato a “dire qualcosa” in musica; qualcosa che mirasse al profondo, agli aspetti più intimi ed emozionali dell’esperienza. Questa è la mia prerogativa e questo è il principio che guida il mio percorso musicale; sugli esiti, ovviamente, non posso essere io a valutare con la stessa certezza; gli intenti sono però certi.

Qual è il suo approccio alla musica?

Istintivo. Credo nelle infinite possibilità delle suggestioni estemporanee, nel così detto stato di grazia che a volte imprevedibilmente governa un processo creativo, rendendolo unico ed irripetibile. Ciò non implica, tuttavia, che non ritenga necessario lo studio, l’approfondimento, il lavoro di dettaglio. Diciamo che, a mio parere, perché si realizzi qualcosa di significativo in ambito musicale, questi due elementi debbono essere compresenti: all’inizio ci deve essere sempre una scintilla, una intuizione; poi, si lavora con le arti del cesello e della competenza tecnica. In ogni caso è bene sottolineare che queste non sono regole imprescindibili o leggi universali; siamo in un ambito che ha a che fare, oltre che con la disciplina, con l’emozione e, quindi, estremamente sfumato; ogni percorso compositivo o approccio può essere sovvertito da eventi imprevisti.

liprando 2 Ha recentemente dichiarato che il suo primo disco intitolato” Conseguenze” era più istintivo mentre il suo secondo lavoro “La vita inquieta” è più incentrato sulla ricerca sperimentale. Vuole approfondire la spiegazione delle differenze tra questi due lavori?

“Conseguenze” è un album nato sulla scorta di grandi entusiasmi, a partire dall’apprezzamento che alcune mie canzoni avevano suscitato presso addetti ai lavori e dalla disponibilità dell’etichetta Delta-Top a farne una pubblicazione. Il lavoro è stato influenzato da questa sorta di entusiasmo ed ingenuità di fondo, per cui tutto il percorso produttivo, pur se curato nei dettagli e nelle specificità (a volte anche maniacalmente), ha risentito di un eccesso di fiducia che ha reso difficile una analisi più critica di ciò che ne stava venendo fuori. Questo credo non abbia remato a favore dell’album, poiché tale eccesso di leggerezza è rimasto attaccato alle canzoni ed, in particolare, agli arrangiamenti, rendendo entrambi troppo “leggeri”, troppo immediati, quasi superficiali e, forse, addirittura anonimi all’orecchio dell’ascoltatore. Ne “La vita inquieta”, invece, le cose sono andate molto diversamente; i tempi di maturazione sono stati molto più lunghi, le atmosfere che hanno accompagnato il lavoro creativo e di arrangiamento, molto più intime, introspettive e, per questa ragione, meditate, sviluppate attraverso una precisa ricerca e precisi intenti. Credo che, in ragione di questo, lasciando da parte i gusti e il possibile apprezzamento dell’album, ne sia emerso comunque un lavoro che appare più solido, personale, sensato, meno confondibile.

Con quali termini descriverebbe l’incontro tra la musica elettronica e l’uso essenziale di chitarre dal suono vintage e scarno?

A volte, scherzando, mi è piaciuto definirlo come approccio folk-tronico, nell’idea di una realizzazione in cui si incontrano/scontrano una concezione secca, minimale, essenziale, scarna (come a volte emerge da vecchie ballate folk-rock), con gli artifici e le atmosfere dell’elettronica, anche qui però privilegiando quei suoni che attingono alle espressioni analogiche del genere, in una sorta di coerenza che si tiene sul filo della riscoperta di suoni considerati tecnologicamente “superati” (anche l’elettronica ha ormai una storia sufficientemente lunga per avere un suo vintage). Tuttavia, a parte i vari divertissement e gli esercizi di retorica sul mondo musicale, credo sia sempre difficile definire e descrivere delle scelte di stile e di percorso inserendole in categorie; lascio che di questo si occupino i critici, che sono tanto bravi a farlo.

  Quali sono i suoi riferimenti musicali?

Questa è per me la domanda più difficile. E non perché voglia ribadire un forzato atteggiamento d’apertura nei confronti della musica, ma perché, difatti, ho sempre ascoltato e seguito di tutto. Dallo stone rock dei Queens Of The Stone Age, alla psichedelia vecchia e nuova (dai Pink Floyd ai Flaming Lips), al soul delle origini (produzioni Stax-Volt anni ’50 e ‘60), all’elettronica delle origini (dai Kraftwerk, agli Ultravox, passando per Laurie Anderson), al folk-sperimental-rock dei Calexico, fino al post-rock più estremo e minimale ed al pop più semplice ed immediato…e già ho la sensazione di stare dimenticando parecchie cose. Davvero mi è difficile stabilire cosa può avermi influenzato di più. Probabilmente, per un fatto generazionale, ho forse particolarmente risentito, come molti tra i miei coetanei, delle influenze Post-punk e New-vave, da un lato, e del Noise rock indipendente e del Grunge dall’altro; tuttavia, ricostruire per bene un albero genealogico delle mie radici musicali richiederebbe un lavoro molto lungo ed approfondito, che non può stare nello spazio di questa risposta….magari in un impeto di narcisismo ci lavorerò. Detto ciò, al momento, considero alcuni lavori dei Radiohead e dei Sonic Youth tra le massime espressioni musicali dell’ultimo ventennio, soprattutto in relazione alla capacità di sintesi e alla trasversalità.

La notte nera apre, chiude o entrambe le cose?

La notte nera apre e chiude perché è allo sfondo; è quella condizione di latente inquietudine che accompagna la consapevolezza dei nostri limiti, dell’immanenza di tutto ciò che non è come vorremo, dell’impossibilità di sfuggire all’inganno di fondo della condizione umana: essere vivi, forti ed infiniti in un corpo debole, finito, consegnato alla dissoluzione.

 Quali sono, secondo lei, le più ricorrenti incertezze del vivere?

La vita degli uomini contiene di per sé degli ampi ed intrinseci margini di incertezza: nulla è di fondo veramente certo, a parte le nostre temporanee convinzioni ed illusioni. Oltre a ciò, nei tempi che viviamo, le contraddizioni e le incertezze del vivere si moltiplicano e si sommano a nuove incertezze che riguardano le condizioni della realtà che ci è intorno, che oggi ci sfugge più di prima, divenendo sempre più “liquida” ed inafferrabile, come sostiene qualcuno. Potremmo dire che, nei tempi che viviamo, il velo della certezza a cui ci siamo sempre ed illusoriamente aggrappati nella nostra storia si è definitivamente lacerato, lasciando il posto all’ultima verità: nulla è veramente vero e controllabile, poiché tutto è una nostra invenzione, di cui ci serviamo per vivere ogni giorno, attraverso gradi più o meno accettabili di tollerabilità.

  Insieme ai Bradipos IV ha collaborato con i Monaci del Surf realizzando quattro brani intrisi di garage rock. Ci racconta questa esperienza?

Con i Bradipos si lavora da molti anni; anni in cui abbiamo costruito una nostra storia ed un nostro percorso. Quando si lavora da tanto ad un progetto musicale capita di entrare in contatto con molteplici realtà produttive, musicisti, esperienze. La collaborazione con i Monaci è il frutto di uno di questi tanti incontri. Sentivamo parlare di loro e loro sapevano di noi; la collaborazione è, dunque, nata a partire dalla curiosità e dall’interesse reciproco. Ci siamo sentiti telefonicamente, scambiandoci un po’ di idee, di esperienze e di riflessioni su quello che ci circonda; ci siamo piaciuti e abbiamo pensato molto semplicemente di fare qualcosa insieme, unendo le nostre forze ed esperienze per creare nuovi percorsi possibili. Nel confronto vi è sempre la possibilità di crescere ed, inoltre, chi fa musica, e vuole continuare a farla, credo abbia sempre la necessità ed il piacere di trovare nuovi stimoli e di intraprendere nuove sfide: la necessità di muovere nuovi passi per dare seguito ad una propria storia.

 Com’è nata la collaborazione con Plastic Penguin ed in cosa consiste?

Anche in questo caso, si è partiti dal desiderio di aprire e sperimentare nuovi percorsi, in particolare sul versante creativo. Siamo stati presentati durante una riunione con l’etichetta e, poiché c’era già da parte mia un apprezzamento del lavoro di PP, oltre che una evidente affezione reciproca ad atmosfere elettroniche, confrontandoci, abbiamo avuto l’idea di fondere i nostri linguaggi musicali per dare vita a qualcosa che legasse i nostri nomi e le nostre esperienze musicali. In sostanza, il lavoro consiste in una rielaborazione di Penguin in un’unica sessione musicale delle quattro tracce interludio presenti ne “La Vita Inquieta”; tracce che fungono appunto da elementi di congiunzione nello sviluppo dell’album e che, quindi, potevano trovare un senso rinnovato dentro un’unità, come unico racconto. In questo momento, il lavoro è in progress, ma quello che ho sentito finora già mi piace molto.

 liprando 3In che modo vorrebbe dare un seguito al suo cammino nel mondo della musica?

Semplicemente, continuando a farla. A parte il lavoro con i Bradipos (in questi giorni stiamo lavorando ad un nuovo album e contemporaneamente all’uscita di un EP in collaborazione con Annette, cantante dei Tintinette Swing Orchestra, per cui abbiamo già realizzato le registrazioni), sto raccogliendo materiali e spunti per un prossimo album di Liprando, rispetto al quale sono ancora in una fase essenzialmente riflessiva e di scelta di campo: metto insieme idee e suggestioni ed attendo la necessaria maturazione di una direzione che dia il via alla fase produttiva in senso stretto.

 Dove e quando sarà possibile ascoltarla dal vivo?

Abbiamo concluso, in estate, un piccolo giro di presentazione dell’album, con il concerto di luglio al Neapolis Festival, in apertura ai Kings of Convenience. Il giro è stato caratterizzato da occasioni diverse dove, in chiave sperimentale, ho presentato i brani di volta in volta con la partecipazione di diversi musicisti e diverse formazioni, apprezzando in particolare la collaborazione con Brain Drops, giovane mago dell’elettronica che mi ha accompagnato in un paio di eventi. Al momento stiamo pianificando un set più stabile e strutturato che rappresenterà il live “La Vita Inquieta” nel prossimo anno. A ciò va aggiunto che, ahimé, ultimamente, la situazione dei locali in Italia non è un granché, per cui stiamo evitando di preparare uscite per il solo scopo di farsi vedere in giro. La scelta è quella di lavorare con massima cura alle produzioni e di concretizzare solo occasioni live che rispettino un minimo di condizioni necessarie perché si possa parlare di un esperienza che è valsa la pena realizzare, in coerenza con le prerogative della mia musica. In tal senso, stiamo lavorando ad una serie di date in piccoli club e teatri, associazioni culturali, librerie multimediali; contesti in cui sia possibile recuperare una dimensione intima ed emozionale, ingrediente non secondario per l’espressione del mio lavoro. La pianificazione è ancora in progress, ma appena saremo pronti sarete tra i primi a sapere.

 Raffaella Sbrescia

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