Little Boy: recensione – Se cerchi un film che ti faccia riflettere sul senso della fede, Little Boy è una pellicola che fa al caso tuo. Il protagonista, interpretato da un bambino, è più basso per la sua età. I coetanei lo prendono in giro soprannominandolo appunto Little Boy, piccolo ragazzo. Siamo in piena seconda guerra mondiale, il padre di Pepper Flynt Busbee (questo il nome del bambino) viene chiamato alle armi. Il ragazzo si sente solo nelle sue insicurezze, perché ormai il papà che lo incoraggiava non è più con lui.
In balia del fratello, arrabbiato per non essere riuscito a impedire al padre di partire, e con il sostegno della madre, il piccolo fa amicizia, su consiglio del parroco, con un uomo giapponese (ricordiamo che l’America era in guerra contro il Giappone), denigrato e preso di mira da tutta la comunità. I due un po’ si somigliano in questo e la saggezza orientale si mescola con gli insegnamenti della chiesa cattolica consentendo a questo bambino di coltivare la speranza. Il piccolo s’impegna e crede cecamente che il padre possa ritornare. La fede non si può spiegare, va coltivata nel cuore, ma senza le opere non è nulla, è come un seme piantato in una terra arida che non viene annaffiata. E allora Little Boy comincia a fare delle buone azione.
Diretto da Alejandro Gómez Monteverde, si tratta di un film del 2015, con un ottimo cast (c’è anche Emily Watson nel ruolo della madre del protagonista). La pellicola, nonostante il tema trattato, è pervasa da un forte senso dell’humor. I colori sono vivaci, quasi accecanti. I primi piani intensi. La storia di un figlio che aspetta il padre è anche al centro della mitologia greca; ricordate Telemaco e Ulisse? Qui si aggiungono, tuttavia, importanti concetti come il senso della fede e della misericordia. Estremamente consigliato!