Maledetta Primavera: recensione del film di Elisa Amoruso con Micaela Ramazzotti

Maledetta Primavera è il titolo del film d’esordio della regista romana Elisa Amoruso. Classe 1981, Amoruso è nota come sceneggiatrice e come documentarista. Tra i suoi lavori figura in primis il docu-film su Chiara Ferragni che le ha fatto guadagnare fama e notorietà.

Nel suo primo lungometraggio la regista ci riporta indietro nel tempo, alla fine degli anni Ottanta, in una Roma non certo da cartolina che prende forma tramite un quartiere periferico desolante e desolato, dove si sviluppa gran parte della storia di Nina (Emma Fasano), una ragazzina che sta per affacciarsi all’adolescenza. Con taglio documentaristico il film racconta vicende di vita vissuta tramite primi e primissimi piani che si alternando a campi medi definendo il contesto e insieme caratterizzando i personaggi.

Maledetta Primavera

Le sequenze, dal punto di vista tecnico, sono perfette e la vicenda si sviluppa in maniera armoniosa anche grazie al montaggio preciso eppure il film non decolla mai per davvero perché manca di quel quid in più. La regista gira una pellicola acerba e troppo celebrale. Il risultato è che non si crea una vera empatia tra la protagonista e lo spettatore; ne guadagnano invece i personaggi secondatori che hanno quasi tutti un certo appeal.

All’apice c’è la madre, interpretata da un’ottima Micaela Ramazzotti. L’attrice romana conferisce emotività e carisma ad una donna che, assecondando i desideri del cuore, mette a tacere i richiami della mente che la vorrebbe fuori da un matrimonio sbagliato. Il padre di Nina (Gianpaolo Morelli) è infatti un impulsivo che sperpera i pochi soldi guadagnati comprando auto di lusso.

Maledetta primavera recensione

E poi c’è Lorenzo (Federico Ielapi), il fratellino. E infine c’è Sirley (Manon Bresch), un’adolescente proveniente dalla Guyana francese che si rifiuta di parlare italiano e che, guardando il mare del Circeo, prova un profondo senso di inquietudine. La ragazzina, con i suoi atteggiamenti indisponenti, mostra a Nina il lato più selvaggio della femminilità, a cui vorrebbe tuttavia sottrarsi vestendo i panni della Madonna nella processione annuale del quartiere. Ma Sirley ha la pelle scura mentre la Madre di Gesù è per tradizione bianca e bionda come la Donna Angelo del Dolce Stil Novo.

Maledetta primavera alza dunque i riflettori, in modo alquanto velato, sul tema spinoso dell’immigrazione e insieme sul concetto della diversità in un microcosmo omologante. La pellicola indugia, inoltre, sui vari aspetti della femminilità e su come questa maturi mediante le esperienze e gli incontri fugaci ma determinanti per l’evoluzione personale.

Elisa Amoruso non osa troppo in questo primo lungometraggio; il suo sguardo resta in superficie e, anche se la cinepresa si avvina ai personaggi, l’effetto che ne consegue è di allontanamento. Nina è troppo distante temporalmente dalla regista, così come l’adolescenza che è il simbolo dell’iniziazione e del risveglio personale. Quindi Nina, mentre sente la sua femminilità sbocciare, vede la madre soffrire per quell’amore bugiardo e tormentato che – come suggerisce la celebre canzone di Loretta Goggi che dà il titolo al film – ci appare come un imbroglio da cui non si può mai del tutto sfuggire perché ciò che crea tormento è dopotutto affascinante! Maria Ianniciello

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