Una dolce timidezza, unita a quello stile un po’ impacciato riconoscibile in ogni suo personaggio. E poi ancora l’accento e le espressioni tipicamente napoletane, anche se mai stereotipate o eccessivamente esuberanti. Massimo Troisi, attore e regista che molti di noi hanno ancora nel cuore, avrebbe compiuto oggi 61 anni se un attacco cardiaco non l’avesse prematuramente strappato alla vita. Nato il 19 febbraio del 1953, era il 4 giugno del 1994 quando, all’età di quarantun anni, il suo cuore smise di battere durante il sonno, poco dopo aver terminato le riprese di uno dei suoi massimi successi cinematografici: Il Postino, diretto da Michael Radford. Una ricorrenza, quella di oggi, che ancora una volta ci porta a ripensare a un attore che in più di due decenni di carriera, dagli esordi teatrali ai film di successo, ha reso familiare uno stile fatto di una lingua dialettale, il suo napoletano, non sempre pienamente comprensibile ma ugualmente capace di raggiungere il pubblico. E poi i temi a lui più cari: dalla famiglia alla religione, dallo sport alla città di Napoli, trattati sempre con quel suo tocco popolare e spesso impacciato.
LA CARRIERA – È sul finire degli anni Sessanta che Troisi inizia la sua carriera d’attore, dapprima nel teatro parrocchiale della Chiesa napoletana di Sant’Anna. Accanto a lui, sin dagli esordi, Lello Arena, con il quale fonda, insieme a Enzo Decaro, il gruppo de La Smorfia. Tratto distintivo dei tre, quindi, una comicità fatta di sketch che, a partire da situazioni della quotidianità napoletana, si addentrano i temi come la religione e le tradizioni tipiche di questa terra. Dopo una serie di successi teatrali, il trio inizia ad apparire anche in televisione, fino alla decisione di Troisi di lasciare i compagni d’avventura per approdare al mondo del cinema. È con Ricomincio da tre, uscito nel 1981, che l’attore si mette alla prova anche nella regia, firmando una pellicola che lo porterà a vincere due David di Donatello, uno per il miglior film e uno per il miglior attore, e due Nastri d’argento per il miglior film esordiente e per il miglior soggetto. Da qui una serie di lavori tra cui Morto Troisi, viva Troisi! e No grazie, il caffè mi rende nervoso, fino all’altro grande successo cinematografico: il film girato insieme a Roberto Benigni, ossia Non ci resta che piangere. Una coppia ben assortita, che in modo razionalmente inspiegabile conduce lo spettatore dalla campagna di Lucca a Frittole, in pieno Quattrocento. Una serie di gag passate alla storia, tra cui la lettera a Savonarola, il corteggiamento di una ventenne Amanda Sandrelli da parte di Troisi (nei panni del bidello Mario) o la corsa per fermare Cristoforo Colombo, in partenza per il viaggio che lo porterà a mettere piede per la prima vola sul continente americano.
Dopo lavori come Le vie del Signore sono infinite, vincitore del Nastro d’argento alla miglior sceneggiatura, i tre film diretti da Ettore Scola (Splendor, Che ora è? E Il viaggio di Capitan Fracassa) e il suo Pensavo fosse amore…invece era un calesse, nel 1994 è la volta dell’ultimo grande successo. Si tratta de Il Postino, film tratto dal romanzo Il postino di Neruda di Antonio Skármeta e che racconta dell’amicizia nata tra un uomo semplice e il poeta cileno Pablo Neruda. Una pellicola che potrà presto vantare 5 candidature agli Oscar del 1996 (miglior film, miglior attore protagonista, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior colonna sonora drammatica), ma che riuscirà a ottenere solo una statuetta, quella come miglior colonna sonora. La realizzazione del film si intreccia drammaticamente, però, con i problemi di salute di Troisi: affetto sin dalla giovane età da un disturbo al cuore, scopre infatti di doversi sottoporre a un importante intervento. Deciso a non posticipare le riprese, l’attore è determinato nel portare comunque a termine il lavoro. Terminata la pellicola, Massimo Troisi si spegne durante il sonno a causa di un attacco cardiaco.