Nonostante sia trascorso molto tempo dall’11 settembre, nessuno deve dimenticare quella giornata. E così spesso gli artisti cercano di riportarla in vita per i più distratti, perché la memoria resta l’unica ricchezza che rende migliore il nostro futuro. Stavolta a provarci sono stati in due: Jonathan Safran Froer col suo bestseller “Molto forte, incredibilmente vicino” e il regista Stephen Daldry che a sei anni di distanza dal capolavoro letterario ha cercato di portare la storia sul grande schermo. Un lavoro riuscito male però, un romanzo troppo bello per essere rovinato da una pellicola cinematografica. La storia che viene scritta da Foer infatti non racconta il momento in cui le torri cadono, ma i mesi seguenti, i mesi in cui si cercano spiegazioni logiche e soprattutto si cerca di elaborare il lutto di chi quel giorno è scomparso insieme ad esse. Nonostante ad interpretare i ruoli principali del film troviamo i premi oscar Sandra Bullock e Tom Hanks, non riusciamo ad emozionarci. Il film non riesce a trasmettere nulla a parte l’ovvio. Gli effetti speciali, il dolby surround, il 3d… sono effetti fantastici, ma incapaci a trasmettere emozioni.
La vicenda di “Molto forte, incredibilmente vicino” racconta la storia di Oskar Schell, un ragazzino con problemi a socializzare con la gente, che durante l’attentato all’America del 2001 perde la persona più importante della sua vita, l’unico che lo ha sempre incoraggiato ad aprirsi al mondo a piccoli passi: suo padre. Un lutto devastante per un bambino così piccolo, che infatti non riesce a distaccarsi dal ricordo del padre e trova così un modo per fare una caccia al tesoro alla ricerca dei ricordi che lo condurranno a sentirsi più vicino a lui, anche se solo per un po’.
Non è tanto quello che accade ad Oskar, ma quello che Oskar sente durante questa disperata ricerca del padre nei volti della gente che ha conosciuto quando era in vita. Nessun effetto speciale sarebbe bastato a trasmettere queste emozioni. Ecco quindi che questo film resta una bella storia da vedere, ma niente di più. Il libro, invece, riesce a far emozionare il lettore fino a farlo piangere. Senza effetti speciali, solo col potere delle parole che è ovviamente in grado di descrivere in maniera maniacale qualsiasi futile pensiero di questo ragazzino. E così, mentre la scena più bella del film è quella in cui il bambino cammina insieme a suo nonno per le strade di New York, nel libro possiamo trovare una scena incredibile pagina dopo pagina.
Altra sostanziale differenza tra film e libro sono i tempi della narrazione: nel libro, tra un’avventura newyorkese e l’altra di Oskar, troviamo delle lettere del nonno alla nonna scritte durante la guerra..lettere che assumono un senso solo alla fine, quando oramai sia Oskar sembra aver perso solo tempo e speranze… Nella trasposizione tutto si gioca a New York, così quello che Foer svela pian piano, quello che nel libro è un dettaglio dal sapore misterioso, nel film è uno scontato indizio di poco conto.
Uno solo il nostro giudizio: non perdete tempo a vedere il film..guadagnatene leggendo il libro!
Maria Rosaria Piscitelli