“The dark side of the moon”, il celebre concept album della band britannica Pink Floyd, ha recentemente compiuto 41 anni: era infatti il 24 marzo 1973 quando è stato pubblicato in Europa. L’affascinante disco, che ha consacrato definitivamente il gruppo ottenendo un gran successo e registrando vendite record, è un album che ogni vero appassionato di rock dovrebbe possedere, sia per l’aspetto prettamente musicale, sia per quanto concerne le tematiche a carattere filosofico-esistenzialista affrontate al suo interno. Per molti floydiani si tratta del “Disco Perfetto” poiché è completo: vi sono ballate eteree e sognanti, brani caratterizzati da sonorità tipicamente rock e altri più progressive, vi è spazio per l’improvvisazione e per la musica psichedelica. Le voci parlate, invece, aggiungono un tocco di mistero e talvolta di malinconia. Con quest’album, inoltre, i Floyd sono tornati al tradizionale formato canzone, che nei precedenti lavori era stato accantonato in favore di brani strumentali molto lunghi, evolutisi poi in vere e proprie suites (emblematici “Echoes” e “Atom Heart Mother”).
L’obiettivo di Waters, poi condiviso dagli altri membri della band, era quello di riuscire a parlare di tutto ciò che ossessiona l’uomo moderno e di creare una “metafora della vita”.
E, se si ascolta l’album (magari anche a occhi chiusi), si ha effettivamente l’impressione di intraprendere un viaggio all’interno dell’esistenza umana: l’apertura (così come la chiusura) è affidata a un battito cardiaco, simbolo per eccellenza della vita, che fa da filo conduttore e collega tutte le canzoni. Una particolarità del disco è la separazione delle due facciate: sul lato A è descritta la vita umana, mentre sul lato B si raccontano le pulsioni e le paure che muovono l’uomo moderno.
Il brano introduttivo del lato A è “Speak to me”, una summa di alcuni degli elementi che caratterizzano il disco: ticchettio di orologi, rumori di registratori di cassa e di elicotteri, voci, risate isteriche, urla di donna… la tensione cresce fino a culminare in un respiro (“Breathe”). La splendida canzone, suggestiva e malinconica allo stesso tempo, quasi eterea, simboleggia la nascita e prepara l’ascoltatore a “On the run”, un pezzo strumentale psichedelico e decisamente innovativo, per l’epoca in cui è stato concepito; il brano è caratterizzato da un’intensità incalzante e crescente che sfocia in un’esplosione. Dopo il boato si inizia a riflettere sul tema della fugacità della vita – uno dei più cari a poeti e letterati di tutti i tempi – con “Time”, aperto dal suono di differenti orologi. Il pezzo termina con la ripresa di “Breathe”, che questa volta rappresenta la vecchiaia: il respiro allenta nuovamente la tensione per preparare l’ascoltatore a qualcosa di potente, come una canzone sulla morte. “The great gig in the sky”, una delle più belle tracce pianistiche di Richard Wright, è accompagnata da una voce femminile struggente e straordinariamente coinvolgente. Ciò che colpisce, oltre all’impatto emotivo che il pezzo ha sull’ascoltatore, è la consapevolezza che la parte vocale sia stata improvvisata dalla cantante inglese Clare Torry cercando di emulare il suono di una chitarra solista.
Il lato B del disco si apre con “Money”, una delle canzoni più famose e di successo dei Pink Floyd, grazie anche al rumore del registratore di cassa e delle monete, al celebre giro di basso introduttivo e ai bellissimi assoli di sassofono e di chitarra. Nel brano viene affrontata sarcasticamente la tematica del denaro: molte persone, infatti, disprezzano i soldi, ma poi non riescono più a farne a meno.
“Us and them” è invece un pezzo caratterizzato da un’epicità corale quasi liturgica (dovuta in gran parte all’utilizzo dell’organo e delle diverse voci) e da un testo piuttosto criptico, in cui alcune parole risuonano con effetto eco. Il brano può essere considerato essenzialmente come una critica alle guerre e una denuncia della povertà. Il batterista Nick Mason ha dichiarato, a proposito: “Se la musica è lo spazio tra le note, Us and them ne è un esempio perfetto”. La strumentale “Any colour you like” introduce la toccante “Brain damage”, una canzone che tratta della follia come conseguenza dell’aver posto la fama e il successo come priorità nella vita. Il riferimento alla malattia mentale dell’ex-membro del gruppo e amico Syd Barrett è più che evidente, soprattutto in versi come “And if the band you’re in starts playing different tunes” (e se la band in cui sei comincia a suonare melodie differenti).
Il disco si conclude con “Eclipse”, che è la prosecuzione melodica di “Brain Damage”. Il testo riassume metaforicamente tutto il concept album: “All that you touch and all that you see, all that you taste, all you feel. […] And all that’s to come and everything under the sun is in tune, but the sun is eclipsed by the moon” (tutto ciò che tocchi e tutto ciò che vedi, tutto ciò che assaggi, tutto ciò che senti… e tutto ciò che succede e tutto quello che si trova sotto il sole è in sintonia, ma il sole è eclissato dalla luna).
Un album decisamente straordinario, dunque, sia per la bellezza e la profondità dei testi e delle tematiche affrontate, sia per le tracce musicali, caratterizzate da sonorità ricercate, sperimentali e armonicamente interessanti.
E un disco di questo calibro non poteva che avere una copertina suggestiva: il celebre prisma attraversato da un fascio di luce, opera del compianto Storm Thorgerson, è ancor oggi considerato uno dei simboli che identificano la band e contribuisce a conferire all’album un’aura che ha affascinato e continuerà ad affascinare generazioni di ascoltatori.
Chiara Bernasconi