“Il mio nome non è niente, il respiro di un istante, tutta vita che sul mio corpo si disegna, lo accarezza, lo accompagna luce e verità. Dove vai tempo che mi illudi? Il mio nome è appartenenza vive solo in una stanza ma non piange mai..”. Questi versi, tratti dal brano, intitolato “Appartenenza”, che dà il titolo al nuovo omonimo disco del cantautore siciliano Pippo Pollina, in uscita il prossimo 21 gennaio, racchiudono l’essenza più intima di un artista che ha saputo trasformare il dolore, legato all’addio all’Italia, nella sua più grande forza. Conosciuto in tutta Europa come il cantore di una generazione che ha visto i più grandi cambiamenti e le più grandi sconfitte dell’Italia e del mondo, Pippo Pollina si racconta a cuore aperto, senza remora alcuna.
Pippo, nelle tue canzoni ci sono le voci, i pensieri, i tormenti di storie dimenticate, fatti di cronaca, spesso taciuti, e le vite degli eroi della storia recente. Quali sono gli spazi e gli obiettivi che intende conquistare la tua musica?
Sostengo da sempre che il mio unico vero obiettivo è quello di riuscire ad emozionare le persone ma credo che questo sia un po’ il desiderio nascosto di tutti quelli che provano a fare arte . La nostra missione è riuscire a lasciare il segno attraverso una scia di emozioni che riescano a coinvolgere il pubblico e se riusciamo a farlo, poco importa quali sono le storie che abbiamo scelto. Nel mio specifico ho sempre cercato di essere testimone del mio tempo lasciando confluire nei miei lavori elementi di cronaca e storie particolari, filtrandole, per restituirle agli altri.
Il tuo nuovo disco, in uscita il 21 gennaio, s’intitola “L’Appartenenza”: 13 brani, arrangiamenti di spessore e collaborazioni illustri con artisti come Etta Scollo, Giorgio Conte e Werner Schmidbauer completano un lavoro intriso di contenuti pregni di significato. Se volessi spiegare cosa racchiude questo album, attraverso l’uso di una parola chiave, quale useresti?
In questo album ho cercato di tracciare un’idea, un pò come quando negli anni 70 c’era un concetto che permeava, univa le canzoni attraverso un filo rosso. Quest’anno ho compiuto 50 anni e, dato che quest’età per me aveva simbolicamente un significato particolare, ho cercato di tirare un po’ le reti, di capire quali sono state le cose importanti che hanno caratterizzato la mia vita fino ad ora, quali sono le cose che ho imparato e quelle che intendo coltivare ancora. Ho fatto tutto questo attraverso13 canzoni in cui ho ridisegnato gli elementi di appartenenza che mi sono sempre stati cari dal punto di vista sociale, politico, musicale, etico, artistico. Credo che chi, come me, abbia vissuto in un luogo e poi abbia voluto o sia dovuto andare via ad una certa età, abbia vissuto un processo di sviluppo molto particolare. Di conseguenza ritengo che l’aver tracciato una linea, in grado di connettere degli elementi di appartenenza, sia molto importante.
La tua anima siciliana ha conquistato il centroeuropea. Sono ormai migliaia i concerti che hai tenuto in tutto il continente europeo. Come sei riuscito a conquistare i cuori mittleuropei e come pensi di superare la barriera dell’omologazione musicale in Italia?
Una cosa che ho scoperto viaggiando è che attraverso la curiosità e l’interesse mostrato nei confronti dell’altro e della roba altrui, ho poi automaticamente portato l’altro ad interessarsi delle mie cose. In sintesi se desideri che gli altri si interessino a te e a quello che fai, devi essere tu, in primis, ad aprirti nella comprensione del diverso, solo in questo modo avviene uno scambio, vero autentico, reale, fatto di cose concrete e di contenuti, ben diverso da quello su carta o provocato da interessi specifici che vanno aldilà della curiosità verso l’altro: questo è stato il mio segreto. Grazie a questa reciprocità si è , dunque, creato questo fertile dialogo interculturale. Per quanto riguarda L’italia, invece, non vivendo più in questo paese da tanti anni, ormai, il processo di divulgazione della mia musica è collegato alla mia presenza- assenza. In Italia molte cose avvengono attraverso i contatti personali o comunque attraverso una frequentazione per cui, non essendo presente in loco, è molto più complesso riuscire a diffondere le mie cose allo stesso modo però, è anche vero che, grazie al web, è sicuramente più facile ovviare al problema delle distanze. A Febbraio, poi, terrò dei concerti proprio in Italia: il 27/02 sarò a Torino, il 28/02 a Cattolica, l’1/03 a Verona e il 2/03 a Firenze.
Di cosa tratta lo spettacolo teatrale “Ultimo volo- orazione civile per Ustica?
Lo spettacolo ha una lunga storia alle spalle: è stato commissionato dalla Regione Emilia Romagna e dalla società dei parenti delle vittime della tragedia di Ustica, ed esiste dal 2007, quando ci fu la prima al Teatro Manzoni di Bologna, città in cui si trovano anche i resti del velivolo tragicamente abbattuto nel 1980. Lo spettacolo è un’opera di teatro musicale, che è stata rappresentata anche in Svizzera, Germania e Francia, la quale vedrà un’ennesima replica ad aprile in Svizzera, in lingua tedesca. L’opera parla di quanto accadde in quel tragico episodio e cerca di sublimare, attraverso il teatro dell’emozione, una tragica vicenda.
L’esilio è più uno spazio di confronto e comprensione o un luogo di solitudine inquieta?
L’esilio possiede entrambi gli elementi perché si tratta, al contempo, di una condizione di non libera scelta, spesso legata ad un pericolo fisico o morale. Credo che questa sia una scelta sempre più frequente, soprattutto in Italia, dove l’ emigrazione è diventata un fenomeno ben diverso dal passato: si tratta di un’emigrazione culturale, legata al fatto di non riuscire o non volere più accettare delle regole che la cultura del potere di questo paese impone. L’idea di cercare un tipo di vita legata ad altri valori, seppur con grande dolore, ci rende desiderosi di interpretare la cultura di un’altra società e credo che tanta gente oggi s’identifichi in queste parole.
Raffaella Sbrescia