In una sala della Vaccara gremita di gente si è svolto l’incontro con il regista Pupi Avati(nella foto) che – all’interno de I Giovedì della Capitale (l’iniziativa promossa dalla Fondazione Perugiassisi 2019 e in collaborazione con il Circolo dei lettori di Perugia) – ha presentato “La grande invenzione”, libro autobiografico edito da Rizzoli. Per più di un’ora Avati ha parlato ad un pubblico attento e divertito. Con la sua verve di autore poliedrico, regista, scrittore e musicista che, in più di 40 anni di onorato servizio, ha contribuito allo sviluppo della commedia e dell’horror italiano con oltre quaranta film, Avati ha raccontato la sua vita, un’avventura che va dalla via Emilia a Cinecittà.
Nella Bologna del dopoguerra si svolge l’educazione sentimentale di Pupi, un ragazzo timido ma un po’ mascalzone, un perdigiorno con una bruciante passione per il jazz, un rapporto complesso con le donne, un amore irreversibile per il cinema. Poi l’addio alla carriera da musicista: «Colpa di Dalla e della sua bravura nettamente superiore», ha detto. Poi, la parentesi come rappresentante di surgelati, i difficili esordi cinematografici e delle lettere spedite a Flaiano, unico destinatario che ha risposto con un sonoro «scrivetemi più», la Roma degli artisti, l’insolito lavoro con Pasolini, i pedinamenti per conoscere il maestro Fellini, l’approccio con il cinema da spettatore di 8 e 1/2, i successi di pubblico e critica. Il regista ha scherzato col pubblico offrendo di tanto intanto lezioni anche linguistiche di cinema raccontando aneddoti relativi alla sua personale esperienza professionale. Racconta il suo rapporto con la musica jazz e del concerto che andò a vedere con la più bella ragazza di Bologna e di un bacio che non c’è mai stato, ma che ha messo in scena 19 anni dopo, in uno sceneggiato. «Ecco perché faccio il cinema – ha svelato il regista romagnolo -, per quel bacio che nella realtà non ho potuto dare».
«Qui ci sono le mie radici, quelle che non si dimenticano mai, perché qui è sepolta mia madre – ha rivelato Avati -. A Todi, dove attualmente ho una casa, mia madre comprò una casale che restaurò. Dopo la sua morte io e mio fratello decidemmo di riportarla qui in Umbria». Alla madre il regista ha dedicato un film: «Un modo per trattenerla forse». E di cui ha finito da poco le riprese. «E’ la storia della mia famiglia, di come mia madre, una giovane dattilografa si innamorò del figlio del suo datore di lavoro fino a sposarlo. Raccontando questa storia mi è parso di raccontare la duplice faccia della vita: orrenda e meravigliosa – ha proseguito il regista – Pensare che 75 anni dopo ho girato una scena in particolare, quando mio padre porta a casa mia madre per la prima volta, è come raccontare la vita stessa».
Di storia e famiglia tratterà anche il prossimo appuntamento con i Giovedì della Capitale che avrà come protagonista Marcello Sorgi, già direttore de La Stampa e Tg uno. Il giornalista giovedì 11 aprile presenterà il suo libro “Le sconfitte non contano”.