Mario Martone, con Qui rido io, confeziona un nuovo capolavoro del Cinema italiano. E lo fa guardando indietro nel tempo, nella Napoli illustre, la città che i Media si dimenticano di raccontare, perché troppo complessa, troppo pretenziosa, troppo ricca, troppo austera e quindi sfuggente ai luoghi comuni che la vedono immobile e lontana dalle luci della ribalta. E invece no! Perché c’è stato un tempo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento in cui Napoli splendeva e faceva tendenza anche grazie a un gruppo nutrito di grandi artisti, pensatori e letterati. Tra questi, oltre a Benedetto Croce, c’era Eduardo Scarpetta (Napoli, 13 marzo 1853 – Napoli, 29 novembre 1925), forse il commediografo napoletano (dopo De Filippo) più illustre.
Scarpetta parlava alla pancia della gente e con le sue commedie faceva ridere a crepapelle perché ironizzava sui vizi del popolo minuto. Con il memorabile personaggio di Felice Sciocciammocca (interpretato anche da Totò nella intramontabile versione cinematografica di Miseria e Nobiltà), adombrò nientemeno che Pulcinella, la maschera napoletana della Commedia dell’Arte. Martone in Qui rido io non si ferma, però, a Sciosciammocca perché passa oltre entrando nelle viscere e nell’anima di Scarpetta, il protagonista del suo nuovo film.
Ambientando il suo meraviglioso lungometraggio nella Napoli della Belle époque, il regista affida il ruolo di Scarpetta a Toni Servillo che dà le sembianze in modo integerrimo ad una figura mastodontica e molto ingombrante che fu tanto amata dalla gente quanto odiata (soprattutto in un secondo momento della sua carriera) da alcuni colleghi. Il film è ambientato soprattutto in spazi interni, prevalentemente in teatro nella prima parte del film per poi spostarsi sul finale nelle aule del tribunale, dove Scarpetta fu chiamato a giudizio.
Mario Martone focalizza la propria attenzione su un momento decisivo della carriera del commediografo e attore, ovvero sulla lunga causa che Scarpetta tenne con Gabriele D’Annunzio, il quale lo accusò di plagio per ‘Il figlio di Iorio’, una parodia del dramma dannunziano ‘La figlia di Iorio’. Il travaglio esistenziale dell’artista, che si ritrova suo malgrado a vivere un’esperienza professionale deleteria, si mescola con la vita privata in questo film: il matrimonio con la moglie Rosa De Filippo (Maria Nazionale), i novi figli, di cui molti illegittimi, il legame fedifrago con la nipote acquisita Luisa De Filippo (Cristiana Dell’Anna) e il rapporto a tratti conflittuale con il figlio legittimo Vincenzo (Eduardo Scarpetta)…
I molti momenti conviviali, trascorsi soprattutto a tavola, con polpette e spaghetti, ricreano inoltre uno spaccato importante sui costumi e sulla tradizionale culinaria italiana, in modo particolare partenopea, tra musiche della tradizione e usanze patriarcali.
Martone dunque passa in rassegna un pezzo di vita di Scarpetta indugiando anche su Eduardo, Titina e Peppino, i figli illegittimi che contribuirono a mantenere non solo viva la memoria di Scarpetta ma anche a creare opere e interpretazioni memorabili dando ancor più lustro a Napoli in Italia e nel mondo. Eduardo, infatti, è oggi considerato uno degli autori più importanti del Novecento.
Qui rido io è una profonda riflessione sullo stato dell’arte e in modo particolare sulla commedia che è qui vista come non secondaria al dramma. La pellicola nasconde anche un messaggio subliminale sulla società contemporanea e sui rischi che si corre quando si vuole impedire ai comici di ironizzare sulle forme e sui volti del Potere.
Il film è stato presentato alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia, nell’ambito della sezione Venezia 78. La sceneggiatura originale e il soggetto sono stati scritti da Mario Martone e Ippolita Di Majo. I meravigliosi costumi sono di Ursula Patzak, le scenografie di Giancarlo Muselli e Carlo Rescigno, la fotografia è di Renato Berta, il montaggio è di Jacopo Quadri, il trucco di Alessandro D’Anna. Il film è distribuito da 01 Distribution.
Recensione scritta da Maria Ianniciello, segui l’autrice su Instagram