Si è abbassato il sipario su La fantastica signora Maisel e nel dietro le quinte del mio spazio interiore è apparsa la nostalgia, che in poche ore è stata sostituita dalla necessità di colmare il vuoto lasciato da uno dei personaggi meglio scritti della Storia delle serie televisive.
La fantastica signora Maisel: recensione della serie tv
Con i suoi codici e i suoi sottocodici, La fantastica signora Maisel mi ha accompagnata in un percorso di crescita personale ed umano forse per me senza precedenti e non esagero. Perché tutte le volte in cui mi sono sentita stanca ed affaticata, in preda alla nausea delle troppe incombenze, mi sono chiesta: come avrebbe reagito Miriam? Cosa avrebbe fatto?
Chi è Midge?
Prima di Midge (Rachel Brosnahan) avevo smesso di sognare, con lei ho pensato che i sogni dopotutto si possono realizzare ma non basta volerlo. Bisogna agire. Certo, serve anche fortuna. I pragmatici mi diranno che la fortuna non esiste. No, io controbatto che esiste. E non è la dea bendata. E’ altro. E’ il destino, è il manifestarsi della teoria della ghianda di James Hillman, è il maestro interiore che permette al bambino di cominciare a parlare, a camminare e ad essere autonomo. E’ il cuore che batte senza sosta. E’ il bruco che diventa farfalla. E’ l’ascolto della vocazione, è il perseguire valori nobili, è il creare una sinergia tra cuore e cervello. Non per inseguire il successo creato ad arte, non per assecondare modelli, ma per essere come un fiume che scorre, immersi nella vita. E non acqua stagnante. Midge ha una vocazione: sa fare la comica, ci crede, non smette mai di crederci. Quando sale sul palco, la magia ha inizio per lei.
Ma prima di tendere la mano alla propria vocazione, Miriam precipita nel pozzo della separazione e dell’abbandono. Il marito la lascia. Lei si ubriaca e al Gaslight Cafè, un locale malfamato di New York, comincia la sua vera storia. Lì conosce Susie Myerson (Alex Borstein). Nessuno crede in lei, non ci crede il padre, non ci crede la madre, non ci credono gli amici. Ci crede solo Susie, un altro grande personaggio. Miriam e Susie crescono insieme. Ma le sfide sono troppo alte e le delusioni dietro l’angolo per entrambe. Miriam non si abbatte. Lavora per sopravvivere, acquista una casa, familiarizza col denaro. Si esibisce. Fa le promozioni radiofoniche. Pochissimi le danno credito…Susie e qualche altro. Eppure lei non smette di crederci. Crea. Vede per la prima volta da vicino le ingiustizie del patriarcato, le subisce, e le fa a pezzi poco alla volta.
Ecco perché è un capolavoro
Tra flashback e fashforword, Amy Sherman-Pallidino crea e gira una serie tv capolavoro che unisce leggerezza e profondità facendoci riflettere sul senso della vita e sull’essere donne in una società ancora troppo maschile.
Se ne rende conto anche Abe Weissman (Tony Shalhoub), il padre di Miriam, quando in un uno dei monologhi più intensi della quinta e ultima stagione dice agli attoniti interlocutori: “Mia figlia, vedete mia figlia è stata abbandonata dal marito, di punto in bianco, è stata la sua tigre dai denti a sciabola, e invece di sprofondare sotto questo peso ne è emersa ancora più forte, un’altra persona o così io credevo, eppure io adesso penso che così è sempre stata per tutto il tempo. Non l’ho mai davvero presa sul serio. Mio figlio, Noah sì che lo prendevo sul serio. Lo portavo alla Columbia ogni settimana così che potesse sognare ciò che sarebbe diventato, non ricordo di aver fatto mai una cosa del genere per Miriam, non credo mi sarebbe mai venuto in mente. E… per quanto incomprensibile sia la carriera che ha intrapreso, lei sta facendo tutto da sola, senza l’aiuto mio né di sua madre. Da dove viene tutto questo, questa sua forza, questa fermezza di spirito, che io non ho mai avuto, che il mio povero figlio non ha mai avuto? Dove sarebbe arrivata se io l’avessi aiutata, se io non l’avessi ignorata, se io non avessi ignorato chi è lei veramente? Mia figlia è una persona davvero ammirevole e non credo di averglielo mai detto”.
Sono poche le bambine, oggi donne, che sono state prese sul serio. I loro cervelli sono sempre stati secondari al loro aspetto esteriore e alle loro qualità di perfette mogli e madri. E questo non solo negli anni Cinquanta. Essere prese sul serio significa essere viste e riconosciute totalmente. Certo, dobbiamo riconoscerci noi per prime, scavalcando gli argini, rompendo i limiti per dire al mondo che abbiamo dei talenti e che oltre le gambe c’è molto di più. Come fa Perseo che uccide Medusa e costruisce il suo regno dopo essere stato rifiutato.
Tanti insegnamenti
Midge ci dà anche un altro insegnamento. Lei riesce non solo a coltivare un buon rapporto con l’ex marito ma anche a guardare oltre le apparenze e a compiere la catarsi amando i genitori, dai quali vorrebbe essere vista per davvero. Non si arrende e non cede al vittimismo. E infine ci dice che è “poco attraente aspettare che succeda qualcosa, guardando dalla finestra e pensando che la vita che dovresti vivere è lì fuori ma tu non riesci ad aprire la porta ed andartela a prendere e… se ti dicono che puoi non ce la fai”. In realtà, aggiunge Miriam, i codardi fanno tenerezza solo nel Mago di Oz. Miriam Maisel è dunque un personaggio molto ben articolato, che compie un percorso di rinascita e presa di consapevolezza.
Scrive la narratologa Marina Pierri nel libro Eroine (Edizion Tlon): “Miriam ‘Midge’ Maisel è un’Afrodite archetipica”. Miriam, infatti, vive da sempre sotto i riflettori, è una perfezionista. Diventa poi la stand-up comedy più famosa di sempre ma ad Army Sherman Palladino interessa non la meta bensì il viaggio della nostra eroina che ben presto si accorge di dover affinare ed acquisire tecnica per emergere e trovare così la propria personale voce. Cura sia il suo talento e sia il proprio desiderio di libertà. E SPLENDE. Eccome se spende! Maria Ianniciello