C’è una donna dietro la macchina da presa di SanPa, la serie di Netflix su Vincenzo Muccioli che sta creando un dibattito socioculturale in Italia senza precedenti. Si chiama Cosima Spender e con la sua telecamera si avventura nel dietro le quinte di una delle vicende più ambigue della nostra storia repubblicana. Gli autori sono Carlo Gabardini, Gianluca Neri (anche nelle vesti di produttore) e Paolo Bernardelli.
SanPa su Netflix: recensione
Non è facile scrivere una recensione su questa serie televisiva perché il prodotto, per com’è stato realizzato, mi ha spiazzata con i suoi colpi di scena e cambi di vedute. SanPa descrive infatti un pezzo d’Italia come nessuno era riuscito a fare prima d’ora, mettendo a confronto due sistemi di valori e di potere. L’uno basato sulla forza e sulla gerarchia, dunque sulla pedagogia nera; l’altro sulla riabilitazione dolce di chi ‘perde la retta via’. Chi ha ragione? E’ questa la domanda esistenziale che trapela dalla docu-serie, la quale ci fa vedere le luci e non nasconde più le ombre di San Patrignano, la struttura per tossicodipendenti più grande d’Europa.
Chi era Vincenzo Muccioli?
Chi era Vincenzo Muccioli per davvero? Qual è la sua storia? La serie ripercorre l’ascesa e la caduta del patriarca che, usando metodi controversi, riuscì a salvare migliaia di tossicodipendenti tra gli anni Settanta e Novanta del secolo scorso, tanto che l’opinione pubblica italiana e i media lo difesero nel corso di 15 anni di processi. Muccioli- che aveva agganci politici e fu sempre sostenuto dai Moratti – fu accusato di sequestro di persona e di usare metodi punitivi forti per rieducare i ragazzi e le ragazze che facevano uso di droghe.
Una serie dalle tante domande?
Il fondatore di San Patrignano si muoveva tuttavia in un contesto in cui lo Stato era del tutto assente e «i tossici» (come venivano chiamati allora) erano considerati peggio degli appestati. Quando poi apparve l’AIDS le condizioni di queste persone peggiorarono. Muccioli se ne prese cura. Ma la cura è giusto che sia più dannosa della patologia? E se la cura funziona è giusto che le libertà e la dignità individuali vengano calpestate in nome della ‘salvezza’? Si tratta di interrogativi molto attuali che ne aprono altri: abbiamo il diritto di salvare chi non vuole essere più salvato? E i metodi del patriarcato sono ancora validi? Oppure esiste un altro modo per aiutare il prossimo senza risultare invadenti e coercitivi?
Si evince, poi, tra le righe quanto questo Paese fosse molto misogino e maschilista. E allora in un’Italia che vorrebbe la pena di morte per chi sbaglia, quanto resta dei metodi di Muccioli?
La serie di Netflix? Multicolor…
SanPa ci fa vedere dunque le tante luci di un uomo che non fu un Santo ma che per salvare «i suoi ragazzi» scese a compromessi con la morale. La serie è molto avvincente anche grazie all’ottimo montaggio di Valerio Bonelli che, proprio quando stai per decidere da che parte stare, ti spazza riuscendo a creare infine un senso di pietas verso una persona che era dopotutto un uomo. E gli esseri umani, si sa, non profumano di santità. Per poi spiazzarti ancora e ancora…
SanPa è una serie multi color (qui niente è bianco o nero) che abbatte i pregiudizi e le certezze di chi tende a polarizzare sentimenti e azioni con due sole frasi: «è giusto» o «è sbagliato». Si tratta, quindi, di un prodotto pieno di insidie che lascia aperte molte domande a cui non sarà mai facile dare una risposta definitiva perché tutto ciò che è definitivo è disturbante e invalidante… Voto: [usr 4.5] Maria Ianniciello