Ero indecisa se scrivere o meno la recensione di Strappare lungo i bordi, l’acclamata serie tv del fumettista Zerocalcare. Lo ero per due motivi principali, il primo è che ne hanno parlato in tanti, alcuni a sproposito, altri in maniera calzante, molti solo per far proseliti.
L’hanno elogiata filosofi e psicologi, è stata criticata da alcuni critici per il linguaggio scurrile, da tanti è stata osannata. Sui social, in particolare, sono stati pubblicati post anche sulle bacheche e sui profili di coloro che non sono esperti di linguaggio cinematografico e seriale. Ci si improvvisa virologi, figuriamoci critici!
Il secondo motivo per cui ero incerta se scrivere un articolo è che io (e voglio essere onesta fino in fondo) non sono un’esperta né un’appassionata di fumetti. Sì, va bene, lo ero da piccola ma questo non può fare di me un’esperta di fumetti. Quindi, per l’onestà che mi caratterizza, non posso fare alcun parallelismo (cosa che per i film mi piace molto fare) con fumetti di altri autori né con altre opere dello stesso Zerocalcare.
Strappare lungo i bordi: recensione
Dunque, perché scrivo una recensione su Strappare lungo i bordi? Perché non è un fumetto, è una serie (quindi sono nel mio campo) e credo che per questo meriti un po’ di attenzione da parte mia che sono una piccola cellula in questo spazio infinito che è il web!
Michele Rech, in arte Zerocalcare, ha creato un prodotto geniale (è su Netflix) che racconta un’epoca e un’intera generazione senza finire nella trappola della retrotopia. La serie, che è suddivisa in sei episodi da circa quindici minuti ciascuno, parla in modo trasversale della società contemporanea, dove i grandi capisaldi del Patriarcato stanno crollando un pezzo per volta, anno dopo anno. Questo crollo di valori ha provocato un senso di disorientamento nei membri della generazioni Y che – come spiega anche lo psicoanalista Massimo Recalcati in alcuni dei suoi libri – non hanno avuto Padri capaci di guidarli senza tarpar loro le ali o senza assecondarli per non deluderne le aspettative (ho parafrasato un po’ i concetti espressi da Recalcati).
Il racconto di un cammino zigzagante
Zerocalcare, classe 1983, in questa serie racconta un pezzo del suo viaggio verso l’autonomia, tra curricula inviati più per abitudine che per convinzione, e l’amore infinitamente platonico per Alice. E lungo il cammino, che è fin troppo zigzagante, il protagonista è costretto a strappare lungo i bordi della strada, andando oltre i programmi e le previsioni. In tutto questo zigzagare è in compagnia dell’armadillo (la voce è di Valerio Mastandrea) – che gli fa da alter ego – e dei due amici Sarah e Secco.
Zerocalcare, con ironia e un pizzico di sentimentalismo, descrive alla perfezione lo spaesamento di una generazione di uomini e donne che hanno dovuto adattarsi al precariato e alla mancanza di reali punti di riferimento saldi. Lo fa con colori psichedelici e tanto movimento soprattutto nei primi episodi, come a sottolineare la contrapposizione che si crea tra il ritmo serrato delle aspettative sociali e l’assenza di spirito di iniziativa che immobilizza Zero.
Strappare lungo i bordi commuove alla fine costringendo gli spettatori anche ad una profonda riflessione sul senso della vita e sul nostro bisogno di controllo! (Questo articolo è stato scritto da Maria Ianniciello, segui l’autrice su Instagram)