A Napoli non piove mai: trama e recensione del film
A Napoli non piove mai è un film leggero e pittoresco. Sergio Assisi, nel duplice ruolo di attore e regista, ironizza sull’arte di arrangiarsi, tipica dei napoletani – che Edoardo De Filippo ha ben raccontato nelle sue rappresentazioni – e mette in risalto la bellezza disincantata di una città che contempla i suoi pregi e i suoi difetti, in un immobilismo costante, come sostiene il filosofo Aldo Masullo in un’intervista rilasciata a Claudio Scamardella e pubblicata nel libro Napoli siccome immobile. Barnaba (Sergio Assisi) – il personaggio principale di A Napoli non piove mai – aspetta quella “sciorte” cantata da Pino Daniele in Napul’è; cioè attende il momento propizio, quell’istante in cui le cose cambieranno per un colpo di fortuna o sicuramente per una preghiera ascoltata dal Santo di turno, che può essere San Gennaro ma anche Sant’Antonio da Padova.
Quando sognare non costa nulla…
Barnaba vive d’illusioni ed è un sognatore. La città, in cui è ambientata la pellicola di Sergio Assisi, per certi aspetti è la stessa di Napoli milionaria (1950), meno povera ma ugualmente affascinante e pervasa da una magia che la rende unica e che stupisce Sonia (Valentina Corti), l’artista venuta dal Nord. La ragazza con gli abiti colorati e con la sindrome di Stendhal conquista proprio tutti, anche Jacopo (Ernesto Lama), un triste impiegato che tenta di continuo il suicidio per far fronte alle sue pene d’amore.
Questi tre personaggi sono il cuore pulsante di A Napoli non piove mai, commedia che ci fa apprezzare il meglio del capoluogo campano. Il lungometraggio ci ricorda inoltre che sognare dopotutto non costa nulla. Sergio Assisi si avvale della tradizione teatrale partenopea e cinematografica attraverso ruoli ben costruiti, quali la sorella del parroco, interpretata da una straordinaria Nunzia Schiano (la mamma di Mattia in Benvenuti al Sud e Benvenuti al Nord ), e il personaggio di Sergio Solli, iconica figura del padre italiano, severo ed esigente ma dal cuore tenero, che riporta alla mente il Maurizio Mattioli di Immaturi (2011). La recensione è stata scritta da Maria Ianniciello
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