Sono trascorsi quasi vent’anni da quando Michael Mann portò nella sale cinematografiche Miami Vice, con un giovane Colin Farrell e un ottimo Jamie Fox. Due anni prima era toccato a Collateral, un film spiazzante con uno strepitoso Tom Cruise nel ruolo del temibile sicario Vincent. Mann è tornato al Cinema, dopo Nemico Pubblico (2009), con Johnny Depp, e dopo Blackhat (2015) con Chris Hemswork. E lo ha fatto con il biopic su Enzo Ferrari, il fondatore della celebre casa automobilistica che nel lungometraggio è interpretato da un più che convincente Adam Driver. Di seguito la recensione del film.
Ferrari, la recensione del film
Ferrari è un biopic classico, non è un film sportivo-motivazionale alla Rush per intenderci. L’inconfondibile rombo delle Ferrari serve solo a definire il contesto e insieme l’ossessione del protagonista. Non è una pellicola adrenalinica, non ci fa trattenere il fiato né tanto meno ci induce a fare il tifo per il pilota di turno, come accade in Le Mans ’66 – La grande sfida.
Mann è interessato all’uomo con le sue tribolazioni. Si insinua così con la sua macchina da presa, in modo deciso, nella biografia più intima di Ferrari, raccontandoci il dolore per la morte prematura del figlio Dino, gli attriti con la moglie Laura (una sempre talentuosa Penélope Cruz), l’altra vita con l’amante Lina Lardi (Shailene Woodley) – dalla quale ebbe il secondogenito Piero – e soprattutto la sua ossessione per la vittoria che inseguiva a ogni costo mettendo a rischio la sopravvivenza dei suoi piloti.
Mann descrive tra le righe anche il rapporto che Enzo Ferrari ebbe con la stampa italiana – che lo accusava di far morire gli automobilisti – e insieme si sofferma per grandi linee sulla società italiana del 1957. Mann tuttavia non prende una posizione, non giudica, perché si limita a raccontare l’uomo dentro il successo e il modo in cui quest’ultimo veniva mantenuto.
Al di là dell’attendibilità biografica (la sceneggiatura non originale si basa sul libro di Brock Yates), Ferrari è un buon film con un ottimo cast. Niente a che vedere con le trovate kitsch alla House of Gucci di Ridley Scott. Il lungometraggio convince, probabilmente non eccelle ma nemmeno fa rimpiangere i soldi spesi. Maria Ianniciello
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