Il mio amico Massimo: ecco il documentario su Troisi

Recensione de Il mio amico Massimo

Il giorno dopo aver visto Il mio amico Massimo, il documentario su Troisi in una sala poco gremita di un cinema di provincia, sono andata in libreria dopo giorni di blocco del lettore, causato dalla brutta influenza che circola quest’anno. Per la verità, anche guardare i film e le serie tv è stato arduo in questo periodo in cui stranamente mi sono sentita una macchina da lavoro, col cuore freddo come un ghiacciolo e la creatività al ribasso. Sono consapevole, tuttavia, che certi momenti non puoi evitarli, capitano e basta! Si superano aspettando che passino. Non puoi fare nulla.

Il documentario su Troisi ha avuto il merito di aver riacceso la fiammella, ovvero la mia passione atavica per la cultura, e quindi in libreria mi sono fatta ispirare come sempre dagli occhi e ho cercato di farmi attrarre dal titolo che più facesse per me in questo preciso istante. E allora lo sguardo è andato sul nuovo libro di Susanna Tamaro, Tornare Umani (Solferino. Lo trovi qui). E leggendo la sinossi ho ripensato ancora una volta a Troisi e alla sua umanità.

Ne Il mio amico Massimo l’essenza di Troisi

Per la verità molte delle cose dette ne Il mio amico Massimo già le sapevo. Ero a conoscenza ad esempio del suo amore per il calcio e della sua spiccata voglia di vincere. Conoscevo la sua filmografia e le sue straordinarie performance teatrali e televisive con il gruppo La smorfia insieme a Lello Arena (che è una delle voci narranti del documentario) ed Enzo Decaro. Non conoscevo alcuni degli intervistati come la controfigura de Il postino, l’ultimo intenso film di Massimo Troisi, girato nel Mediterraneo poco prima della morte dell’attore avvenuta il 4 giugno del 1994 al Lido di Ostia.

Per esempio, mi ha fatto molto riflettere il fatto che Troisi non volle fare il trapianto salvavita prima di girare la pellicola, proprio perché voleva che fosse il suo cuore e non un nuovo battito a guidarlo nella realizzazione di un lungometraggio molto poetico, in cui Troisi è malinconico, soave, poco teatrale.

In Massimo Troisi in realtà c’era tutta la meglio comicità partenopea. Le pause, la mimica e i gesti diventavano parole che acquisivano di senso nelle performance dell’attore che più di tutti ricordava il grande Eduardo De Filippo. Si trattava di comicità mai volgare, opportuna e non opportunistica, con un messaggio politico e sociale forte.

Il mio amico Massimo. Recensione documentario Troisi

Un percorso bello ma non esaustivo

Il mio amico Massimo è un viaggio intenso, seppur molto breve e non esaustivo, nella vita e nell’opera di uno dei mattatori più talentuosi ed innovativi del Bel Paese. Diretto da Alessandro Bencivenga, questo docu-film diventa significativo grazie alle parole di chi ha conosciuto Troisi, come Lello Arena, Cloris Bosca, Carlo Verdone, Nino Frassica, Clarissa Burt, Maria Grazia Cucinotta, Salvatore Ficarra e Valentino Picone che, pur non avendolo mai incrociato dal vivo, ne hanno interiorizzato l’ironia. Nel documentario si rivedono poi spezzoni di vecchie interviste fatte a Troisi da Pippo Baudo e alcuni interventi di Roberto Benigni che ha raccontato in più di un’occasione del sodalizio con il suo amico Massimo. Possiamo poi riaccostarci un po’ con immagini di fantasia al Troisi bambino ed adolescente. Dunque…da non perdere!

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