Il primo giorno della mia vita: recensione
Paolo Genovese nel suo film Il primo giorno della mia vita si chiede che cos’è che rende l’essere umano vivo. Per Sigmund Freud, a darci la spinta era l’energia erotica. Per Carl Gustav Jung, l’essere umano doveva ricongiungersi con il proprio Sé per realizzare il processo di individuazione. Secondo Jacques Lacan, a motivarci era il desiderio. Comunque la mettiamo, secondo la Psicologia, in noi scorre un fuoco vitale che ci fa essere creatori del nostro destino, sul quale però non abbiamo il totale controllo. Quando questa energia primordiale si spegne in noi, tutto diventa insostenibile.
Il primo giorno della mia vita: trama
Il primo giorno della mia vita è il film più esistenziale di Paolo Genovese che pone al centro della sua nuova opera uno dei temi più difficili da affrontare, ovvero il suicido, partendo dal fatto che, quando nell’uomo e nella donna, manca il desiderio (ovvero la spinta propulsiva alla vita) tutto diventa buio. Il regista, sceneggiatore e scrittore italiano crea un misterioso personaggio, interpretato in maniera più che convincente da Toni Servillo. Non ci dice chi sia. Potrebbe essere l’angelo custode, come in City of Angels, potrebbe essere l’energia vitale, potrebbe essere il Creatore. Non lo sappiamo.
Ci sono poi altri quattro personaggi cruciali: Napoleone (Valerio Mastandrea), che di professione fa il motivatore; Arianna (Margerita Buy), che ha perso la figlia sedicenne; la ginnasta Emilia (Sara Serraiocco), che vive su una sedia a rotelle; Daniele (Gabriele Cristini), un bambino che su YouTube insegna alle persone a mangiare quanto più cibo possibile. I quattro una notte decidono di tentare il suicidio e, mentre stanno per farla finita, arriva un uomo che per una settimana dovrà cercare di farli rinnamorare della vita.
La maggior parte di loro ha subito un trauma. Arianna non ce la fa a vivere più senza la figlia e vuole uccidersi con un colpo d’arma da fuoco. Emilia, dopo una brutta caduta, ha lasciato la ginnastica artistica e per far fronte al dolore vuole ammazzarsi gettandosi da un palazzo. Daniele invece ha dei genitori (il padre in primis) che cercano solo la sua visibilità sui social e non si rendono conto di quanto questo bambino soffra per la carenza d’amore tanto da provare ad uccidersi con un vassoio di ciambelle (è diabetico). Napoleone ha una grave forma di depressione. Lui, che motiva la gente durante corsi e seminari, non riesce più a motivarsi e decide di lanciarsi da un ponte. Un paradosso. Non trovate?
Appaiono poi tutta una serie di attori che vestono i panni di personaggi minori, da Lidia Vitale, Antonio Gerardi e Lino Guanciale a Vittoria Puccini, la quale interpreta una donna che cerca anche lei di salvare le anime in pena.
Una riflessione (incompiuta?) sull’esistenza
Insomma, Il primo giorno della mia vita è una riflessione sull’esistenza, sul libero arbitrio e su ciò che ci mantiene in vita. Paolo Genovese accelera troppo verso il finale, dandoci la percezione che il percorso di questi personaggi sia incompiuto, o almeno manca quel passaggio cruciale che fa decidere ai quattro se vivere o morire.
Nel complesso Il primo giorno della mia vita è un film convincente e commovente. Può essere guardato ed analizzato in maniera letterale oppure simbolica. Se optiamo per l’analisi simbolica, possiamo fare il seguente ragionamento.
Tutte le notti e nelle varie fasi della nostra esistenza (la nascita, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e da quest’ultima all’età adulta, la menopausa, la mestruazione nell’età fertile delle donne etc…) dobbiamo affrontare una piccola morte interiore lasciando andare il vecchio per far emergere il nuovo.
E non è un caso che i personaggi del film di Genovese – che continua a scandagliare l’esistenza umana nelle sue molteplice sfaccettature – cerchino la morte proprio di notte. Difatti, col sonno sprofondiamo simbolicamente in un altrove, per poi risorgere la mattina dopo, in un ciclo perenne di rinascita e morte, come accade del resto alla Natura con l’alternarsi delle stagioni e del tramonto con l’alba. Arianna, Daniele, Emilia e Napoleone saranno dunque chiamati a scegliere se vivere, facendo defluire le vecchie esperienze e svestendosi delle maschere che hanno indossato per resistere al dolore, o morire per sempre. Il lungometraggio è la trasposizione cinematografica del romanzo omonimo dello stesso Paolo Genovese (lo trovi qui). Maria Ianniciello