C’è tanto rosso nel nuovo film di Nanni Moretti, Il sol dell’avvenire. Il rosso del comunismo e insieme della passione che anima il regista Giovanni (Nanni Moretti), il quale sembra (come accade ad altri personaggi morettiani) essere pervaso dall’impossibilità di comunicare le proprie emozioni, tra volontà di staticità e protesa (degli altri in realtà) verso il cambiamento.
Ogni individuo vive in un contesto sociale di appartenenza che è fatto di sistemi, i quali via via diventano più piccoli: il pianeta, il proprio continente, la propria nazione, la propria regione, il proprio paese o la propria città, la famiglia e infine gli individui. Questi sistemi sono attraversati da forze centrifughe e centripede ma anche da movimenti progressisti e spinte conservatrici. Il partito è un piccolissimo sistema. Ciò che accade nei vari sistemi va rielaborato e rivisitato, come stanno facendo con i miti alcune scrittrici rinarrando la storia di molti personaggi femminili, in chiave contemporanea attraverso una lettura psicoanalitica e fortemente includente. Cosa c’entra tutto questo con Nanni Moretti e con il suo nuovo film Il sol dell’avvenire? Moltissimo.
Moretti compie un’operazione analoga e complessa partendo dal seguente punto di domanda: e se fosse andata diversamente? Realizza un film nel film, un po’ come ha fatto Gabriele Salvatores, con Il ritorno di Casanova. Moretti immagina di essere il regista di un film ambientato nel 1956, l’anno della Rivolta in Ungheria. Si intrufola nella redazione de L’Unità affidando il ruolo di protagonisti a Barbora Bobulova – che interpreta una militante del PCI – e a Silvio Orlando, nei panni del direttore del prestigioso quotidiano. A Roma è arrivato un circo ungherese ma, quando l’URSS invade l’Ungheria, gli equilibri si rompono e Palmiro Togliatti sarà chiamato a decidere se appoggiare i sovietici oppure allontanarsene.
I piani si confondono e si fondono. In un universo parallelo, che poi è quello reale nel film, il regista, che è l’alter ego di Moretti, fatica ad accettare i cambiamenti che interessano anche il Cinema, come la presenza imperante delle piattaforme, quali Netflix, e la tendenza a preferire pellicole di puro intrattenimento che poco dicono allo spettatore e alla spettatrice.
Nanni Moretti in questo nuovo film dichiara il suo grande amore per la Settima Arte che, a suo dire, è in grado di plasmare le coscienze. ll regista cita film famosi, canta e balla. Ma non si accorge che la moglie nonché produttrice dei suoi film (Margherita Buy) sta per lasciarlo. “Tu non hai bisogno di me, io ti servo”, gli dice la consorte.
Giovanni accetta l’amore tra la figlia Emma (Valentina Romani) e un uomo benestante che è molto più grande di lei (potrebbe essere il nonno) ma non riesce a gestire i cambiamenti. Il sol dell’avvenire è anche una riflessione sulla sinistra italiana, che forse per evolversi avrebbe anche bisogno di rielaborare il proprio passato senza seppellire la polvere sotto il tappeto per paura e presumibilmente per vergogna. La pellicola offre, inoltre, spunti di riflessione sull’evoluzione del nostro Occidente. Insomma questo film, proprio per il suo anticonformismo, rispetta totalmente gli standard morettiani, sicuramente molto più di Tre piani (che personalmente ho molto apprezzato). Maria Ianniciello