Un anello di saturno, fatto interamente di cemento, circonda Roma, la città eterna. Settanta chilometri, compongono il Grande raccordo anulare, la più grande autostrada urbana d’Italia e Gianfranco Rosi riesce ad estrarne l’essenza più vera con un documentario di 93 minuti intitolato “Sacro Gra”.
Tre anni trascorsi a girare in tondo per carpire storie, persone, colori e location e montarle per costruire una grande sceneggiatura. Angolazioni e punti di vista inusuali percepiscono lo scandire dei momenti della vita, i colori del cielo e i pensieri della mente restituendo all’obiettivo l’umanità più nuda e cruda. Rosi scopre il velo di sacralità che ricopre il mondo dei cosiddetti invisibili componendo un mosaico di storie che apparentemente non hanno niente in comune tra loro eppure sono collegate, a doppio filo, dal loro scorrere ai margini del raccordo anulare. Il paesaggio urbano si riflette all’interno dei personaggi stessi i quali, interpretando sé stessi, riescono a dare un ritratto più nitido e più completo della loro personalità.
Il film di Rosi tende sicuramente a rappresentare il lato più infimo e più negativo dell’esistenza umana, costretta a fare i conti con la povertà, l’emarginazione, l’isolamento e la morte. Ogni personaggio pare lasciarsi trasportare dal corso degli eventi, senza che il pensiero di reagire possa minimamente sfiorarlo. Nel corso dei suoi viaggi errabondi Rosi sceglie la vita di un anguillaro, un donchisciottesco palmologo, impegnato in un’estenuante lotta contro il punteruolo rosso, un paramedico che affronta con estrema forza il duro lavoro in autoambulanza e la demenza senile della madre, un grottesco torinese che vive con la figlia universitaria in un monolocale di periferia, un instancabile dj brasiliano e ancora donne bistrattate dalla vita che vivono in macchina come delle clochard, prostitute transessuali, alluvionati sfrattati ed un neo-principe che vive in un castello nel cuore della periferia abusiva. Tutti loro costituiscono le fila del tessuto urbano ed esistenziale di questo spaccato sociale che si è conquistato il Leone d’oro alla Mostra internazionale del Cinema di Venezia.
Un film iperrealista che, attraverso un luogo non luogo, rende bene l’idea della vita e del vuoto di bellezza che fin troppo spesso ne caratterizza l’inesorabile scorrimento.
Raffaella Sbrescia