The Fabelmans di Steven Spielberg

Spielberg, The Fabelmans: recensione del film

La mano di Steven Spielberg si riconosce sempre. Che sia un’opera di avventura o di fantascienza o che sia un film più realistico e storico poco importa! Con Spielberg è come per i grandi pittori o scultori. Ed è, infatti, un po’ come per Caravaggio. Guardando un suo dipinto, non puoi non riconoscerlo anche se all’inizio non ti è stato detto chi sia l’autore di quel quadro. Le sue pennellate sono inconfondibili. The Fabelmans è un film in cui la mano calibrata ma decisa di Spielberg è più che evidente. Lo è per la fotografia, dalle tonalità del blu, del beige e del grigio, lo è per i movimenti di macchina che, negli istanti più cruciali del film, ruota sinuosa e mai invadente intorno ai personaggi, creando un certo equilibrio che consente agli attori e all’attrice di esprimere tutto il loro potenziale.

Un piccolo gioiello

Complice la musica, complice la sceneggiatura ben scritta, The Fabelmans è un piccolo gioiello che Spielberg ha voluto creare per renderci partecipi di ciò che è stata una piccola parte della sua vita, da quando era bambino fino all’età in cui è approdato ad Hollywood, dopo aver lasciato l’università.

Trama

Al centro della pellicola c’è il rapporto con la famiglia che talvolta potrebbe diventare il principale impedimento artistico (ci sono delle scene molto incisive su questo tema, con il bizzarro zio ebreo). Ed è infatti la madre Mitzi (una mastodontica Michelle Williams) a dominare parte della scena, con le movenze leggiadre, le ossessioni, le tempeste emotive, il suo amore per il pianoforte. Burt (Paul Dano), il padre ingegnere, fa da contenitore all’emotività della mamma e in certi casi è uno sfondo, perché sarà Mitzi a regalare al piccolo Sam Fabelman la sua prima macchina da presa e sarà sempre lei a rassicurare Sammy (Spielberg sceglie nomi di fantasia per se stesso e per la sua famiglia) sull’innocuità di una sala cinematografica.

Qui il trailer

Ma il lungometraggio non è solo un racconto verosimile ed emozionante della vita di Spielberg, come Kenneth Branagh fa con Belfast; è anche un omaggio alla settima arte che, sin dagli esordi, ha fatto da specchio alle nostre vite permettendo di riconoscere nelle paure, nelle gioie e nelle costrizioni dei personaggi un pezzo di noi stessi. E Spielberg in questo film ci dice che il Cinema è il riflesso di ciò che siamo come individui e come umanità. Specchiandoci nel Cinema e vedendo chi siamo, potremmo migliorarci, evolvere, essere più assertivi ed empatici. O al contrario diventare ancora più spietati, cinici, egoisti, bulli, insicuri.

Spielberg ripercorre la Storia del Cinema

In The Fabelmans il cineasta fa di più: ripercorre la storia del Cinema o almeno una parte di essa attraverso l’evoluzione artistica di un bambino (e poi di un adolescente e di un giovane adulto) che, come i primi spettatori che videro L’arrivo di un treno alla stazione di Ciotat dei fratelli Lumière, si impressionò molto di fronte ai due treni che si scontravano nel lungometraggio Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. Demille. La paura però, grazie alla madre, gli permise di cominciare a girare piccoli film e poi ad affinare la sua grande passione filmando scene familiari e scolastiche.

Ma nella pellicola si narrano anche delle difficoltà che Sam (Gabriel LaBelle) deve affrontare a causa del bullismo (il tema dell’emarginazione e insieme della rivalsa si ripresenta, anzi parte da qui) quando si trasferisce con la famiglia in California. E infine c’è l’ascesa ad Hollywood con la presenza di Joan Ford, interpretato nientemeno che da David Lynch.

The Fabelmans è un film poetico. La pellicola – che è priva di quella retorica e di quel pathos evidenti in alcuni film di Spielberg, sembra durare l’arco di una vita e, nonostante tutto, non stancare mai. Grazie, Maestro! (Recensione di Maria Ianniciello)

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