In sala dal 21 maggio, The Lazarus Effect è un horror soprannaturale di David Gelb che si prepara a regalare brividi e sussulti, tra echi evangelici e il mito di Frankenstein. La trama, la recensione e il trailer del film.
Stupisce, più che la solita, furbetta operazione di marketing dell’horror low cost dietro la quale c’è la Blumhouse, casa di produzione della triade malefica Sinister, Insidious e Paranormal Activity, la scelta di un talentuoso documentarista, David Gelb, di accettare la sceneggiatura di Luke Dawson e Jeremy Slater e di prendere quindi parte al progetto dietro la macchina da presa. The Lazarus effect è un ibrido riuscito male che prova a racchiudere più anime al suo interno, meglio se dannate, visto che si parla di inferni, telecinesi e vita post-mortem. La storia inizia con la solita ripresa amatoriale di un esperimento condotto in laboratorio su un maiale esanime. Il team di giovani ricercatori guidati dalla coppia Frank e Zoe, ci riprova con un cane, anch’esso morto. Ma qual è il loro intento? Iniettare un prodigioso farmaco dal nome evangelico, Lazarus, per far risvegliare le bestie. Il cane si risveglia, ma inizia a comportarsi in modo strano e diventa pericoloso. Lo sarà ancora di più Zoe (Olivia Wilde), quando, in seguito a un incidente durante un esperimento, rimane uccisa da una scarica elettrica e Frank decide che non se ne andrà così. La collega all’apparecchio, le inietta il siero e spalanca la via ad una “piccola morte” appena vomitata dalle fiamme dell’inferno. Le conseguenze saranno, com’è prevedibile, disastrose per tutti i componenti della brigata scientifica. Dopo una prima parte eccessivamente lenta e macchinosa in cui i personaggi si dilettano in inutili spiegoni mentre cercano di familiarizzare con lo spettatore a suon di cliché, segue una seconda metà più dinamica, dove il ritmo si alza, ma la tensione rimane labile, trascinata, perché la paura, instillata attraverso corpi che fanno capolino dall’oscurità e rumori improvvisi con notevole “effetto salto” grazie alle amplificazioni sonore, è un sentimento riciclato. Gelb, per quanto dotatissimo nella nobile arte del documentario “alimentare” (il suo Jiro e l’arte del sushi è stato la sorpresa del 2011), quando si cimenta con l’horror non riesce a sembrare nemmeno la brutta copia di James Wan o del nostro Lorenzo Bianchini, autori new horror ispirati e originali nelle scelte narrative e nel concepimento di un immaginario coerente. Il vero punto debole del film sta proprio nella sceneggiatura che mescola troppe suggestioni leggendarie e le amalgama in modo posticcio, scimmiottando solamente le diverse fonti prese in esame. E così i dottori che giocano come Frankenstein tra la vita e la morte si mettono a resuscitare un novello Frankenweenie, creano uno “scanner” con le sembianze della donna di Frank, una Olivia Wilde encomiabile per quanto si cali nella parte tutta guizzi e scatti nervosi. Come Xabaras di Dylan Dog, risvegliano dal sonno eterno corpi già consegnati ai loro inferni personali, che, a differenza degli zombie di Romero, di Walking Dead o dell’ “indagatore dell’incubo”, non impazziscono biascicando parole senza senso ma acquistano poteri paranormali tra cui la telepatia e la telecinesi. Al di là di qualche buona sequenza – le apparizione di Zoe con occhi nerissimi e viso deformato, le allucinazioni oniriche tra le fiamme del laboratorio in penombra – The Lazarus effect è un film anonimo, indistinguibile dai tanti horror che sono in circolazione. I veri brividi li mette il finale, perché la scena conclusiva sembra prospettare un potenziale sequel.
Trailer di The Lazarus effect
Voto: [usr 1.5]
Vincenzo Palermo