The son: recensione
“Papà, non so come si fa… ad affrontare la vita!”, dice Nicholas (Zen McGrath) al padre Peter (Hugh Jackman) che lo guarda esterrefatto, come se non riconoscesse più quel figlio primogenito a cui ha insegnato a nuotare e a muovere i primi passi. The Son in realtà non è un film sui figli, è piuttosto una pellicola sui padri contemporanei che, privi di modelli, sono come impossibilitati a cogliere le istanze dei figli ormai adolescenti. Nicholas è Telemaco (cito Massimo Recalcati) che aspetta il ritorno del padre tra un passato nostalgico e un futuro tutto da costruire.
Oggi non è più l’assenza genitoriale a creare disagi nelle nuove generazioni quanto il disorientamento dei genitori e in modo particolare dei padri (lo vediamo anche in A Beautiful Boy) che, sprovvisti di intelligenza emotiva, poco riescono a fare per i loro ragazzi.
Un film emotivamente forte
Il regista Florian Zeller gira un film emotivamente forte (non cerebrale né strutturato come The Father), che smorza il fiato e crea una sensazione di claustrofobia, anche nelle scene meno intense. Con la sua macchina da presa, attraverso primi piani e campi stretti e medi, il regista Premio Oscar affronta in questa sconvolgente pellicola più temi, dalla depressione giovanile al trauma del divorzio, che, se non ben gestito, lascia in figli come divisi in due, separati, scissi, mai completi. E infatti Nicholas dice: “Mi sono sentito diviso”. Si intuisce così che la sofferenza della madre Kate (Laura Dern) – che si era vista abbandonata dal marito per una donna più giovane – è diventata insostenibile per il ragazzo ancor di più quando il padre ha avuto un altro bambino dalla nuova moglie Beth (Vanessa Kirby), con la quale l’uomo si è costruita un nuovo futuro.
La difficoltà del padre a cogliere la sofferenza del figlio
Ciò che trapela e sconvolge in questo film è la difficoltà dei genitori, in modo particolare di Peter, a cogliere la gravità della situazione e a fare la cosa giusta. Il male del secolo, ovvero la depressione maggiore (qui viene nominata solo una volta dal medico e non è un caso), non può essere curata solo tramite qualche seduta con uno psicologo e una pacca sulla spalla. Serve un percorso medico appropriato che unisca più discipline per evitare il peggio.
E…infine quelle frasi fatte che non aiutano. Parole che pesano come un macigno. Parole che riecheggiano sui social e che i nostri padri ci hanno detto o che anche noi stessi abbiamo pronunciato ad alta voce se abbiamo in casa degli adolescenti: “Io ai miei tempi facevo così… Io ero così”. Certo. Come no! Eppure ormai le Neuroscienze hanno dimostrato che a livello cerebrale nell’adolescente si verifica una capillare potatura neurale necessaria per distruggere schemi e comportanti infantili, in modo da affrontare le sfide del periodo adulto in autonomia. L’adolescenza è il territorio della ribellione. Spetta ai genitori contenerla.
In realtà il regista ha messo in evidenza una caratteristica umana, perché a livello cognitivo – come ci spiega lo psicologo Daniel Goleman nel libro Focus – siamo meno inclini a mostrare empatia per la sofferenza psicologica rispetto al dolore fisico. Se Nicholas avesse avuto un cancro la via sarebbe stata certamente da subito medica.
E infatti è ormai dimostrato che, quando vediamo una persona soffrire fisicamente, la risposta cerebrale è molto più rapida. Al contrario occorre un tempo relativamente lungo prima che i centri cerebrali superiori coinvolti nella preoccupazione empatica e nella compassione si attivino. Le riflessioni morali richiedono tempo e concentrazione che spesso non abbiamo, anche a causa della vita frenetica e dell’uso costante dei dispositivi elettronici. Nel film i genitori soffrono e amano ma sono come impossibilitati dall’incomunicabilità.
Un film per i genitori
C’è infine un altro aspetto molto importante che trapela in The Son: il modello del padre assente tutto dedito al lavoro, che è impersonato nel film da Antony Hopkins, è ormai superato. Peter però come già detto non riesce a trovare la risposta dentro di sé per aiutare Nicholas, forse perché il male oscuro è troppo grande da poter essere gestito dai genitori in solitudine senza un aiuto esterno, senza la guida di personale qualificato.
Insomma The Son parla ai genitori contemporanei e – con molta probabilità nel tentativo del tutto riuscito di sconvolgerli e coinvolgerli – il regista ha seguito poco i passi di Nicholas e molto quelli di Peter, con un finale da brividi. (Maria Ianniciello)