Recensione – La magia di The Visit, opera nona del regista indiano, risiede nel potere demiurgico del racconto e nella capacità di saperlo esaltare attraverso il found footage. Il felice connubio tra storia e immagine amatoriale, dispiegato su un’ossatura narrativa semplice, non solo convince, quanto spazza via ogni dubbio sulla genialità creativa di M. Night Shyamalan, indiscusso re del “twisted-ending” fin dai tempi de “Il Sesto senso – The sixth sense”. Genialità che, secondo alcuni, risulta irrimediabilmente intaccata dalle ultime, deludenti prove mainstream: “L’ultimo dominatore dell’aria” e “After Eearth”. Chi scrive, da fan devoto e attento osservatore dei suoi lavori, non considera fallimentari neanche pellicole come “Lady in the water” o “E venne il giorno”, poiché si inscrivono anch’esse in un disegno complessivo di grande coerenza stilistica e narrativa. L’autore, amante di Hitchcock e delle fiabe a sfondo dark, ha da sempre scommesso sul potere salvifico della parola, veicolo incantato di racconti di formazione, confessioni intime e diari personali. I suoi film sono prima di tutto storie dal forte valore simbolico e imbevute di sensibilità spielberghiana, ma possono presto rovesciarsi in incubi ad occhi aperti come nel caso di “The Visit”, pregevole contaminatio di horror e Pov. Usando un lessico giovanile – i protagonisti sono due adolescenti – e piegando i meccanismi dell’horror ad una rappresentazione visiva a mosaico che adotta più punti di vista, Shyamalan realizza quello che si può definire il found footage movie definitivo. Come in “Lady in the water” in cui l’eroina, “Story”, plasma l’intreccio metaforico che le si sviluppa intorno, qui siamo in presenza di una giovanissima storyteller che costruisce la propria realtà filmandone ogni aspetto e affidandosi ad un aiuto regista, il fratello, declassato a secondo operatore di macchina.
Il cinema, oggetto d’amore per il regista, è svelato in The Visit nella sua intima natura attraverso le prodezze visive – primi piani, ardite angolazioni, cambi di lunghezza focale dell’obiettivo, campi medi – della cineasta in erba alle prese col suo filmino-inchiesta. Non c’è iPhone che tenga di fronte alla candida magia di una cinepresa e alla appassionata filmmaker di turno. Becca e Tyler hanno rispettivamente 13 e 15 anni e, dopo aver raggiunto la casa dei nonni materni che vedranno per la prima volta, iniziano a realizzare il documentario amatoriale sulla vita della madre che quindici anni prima è andata via da casa interrompendo i rapporti con i genitori. Ma nonna Nana e nonno Pop Pop iniziano a comportarsi in modo alquanto strano: la nonna corre seminuda per casa graffiando le pareti e il nonno si blocca improvvisamente di fronte al fienile senza proferire parola.
Questo è solo l’inizio di una serie di anomalie domestiche che hanno come attori principali gli squinternati parenti. Man mano che si produce l’escalation di comportamenti tanto più bizzarri quanto più calati nella dimensione quotidiana del perturbante, lo spettatore potrebbe pensare ai fratelli Grimm quando la nonna invita la ragazzina a pulire il forno da dentro, o semplicemente a casi di schizofrenia, paranoia o di incantesimo oscuro. Anche gli oggetti e la location spingono verso queste diverse interpretazioni, mentre sfilano in un repertorio pressoché infinito, torte di mirtillo e deliziosi biscotti al formaggio, claustrofobiche cantine, fienili abbandonati usati come rifugio e, tanto per restare in tema fiabesco, anche un forno a misura di bambina. Il campionario magico è completo, ma la direzione scelta è quella di operare su diversi livelli di lettura che trasformano il racconto in straniante apologo all’interno di un horror canonico di ottima fattura. Vi sono quindi altri importanti sottotesti che racchiudono il senso ultimo della poetica di un cineasta visionario e sognatore, tra i quali il desiderio di Becca e Tyler di riscattare le colpe della madre costringendo i nonni a perdonarla, e per questo accettano di cadere in un baratro di follia sempre più accecante mentre sono a stretto contatto con i suoi deliranti genitori. Lo zampino di Spielberg è presente, tanto nelle inquietanti atmosfere, quanto nella descrizione di famiglie disfunzionali che pesano sul groppone dei figli. The Visit può così definirsi sintesi compiuta della poetica di M. Night Shyamalan, sospeso com’è tra le dimensioni osmotiche del sogno e dell’incubo, della veglia e del sogno. Bentornato Manoj, io ho sempre creduto nei tuoi incantesimi.
The Visit, trama – I due fratelli Tyler e Becca, rispettivamente di 13 e 15 anni, sono figli di una giovane mamma che da oltre quindici anni non parla più con i suoi genitori. In partenza per una crociera con il compagno dopo il doloroso allontanamento dal marito, decide di mandare i due figlioletti a conoscere per la prima volta i nonni. Una volta giunti nella loro isolata dimora, i ragazzi decidono di girare un documentario amatoriale sulla loro mamma, cercando di far parlare di lei i refrattari genitori. Qualcosa però non va per il verso giusto e ben presto gli eventi precipitano a causa degli spaventosi comportamenti degli strambi vecchietti. Ed ecco il trailer del film.