«Volevo dar vita a una commedia sentimentale al femminile. Così abbiamo pensato a tre storie di ragazze dal punto di vista di un genitore, lavorando in modo diverso per ogni storia».
E` visibilmente soddisfatto Paolo Genovese, regista capace di sedurre sempre il pubblico come è successo con “Tutta colpa di Freud”. Il suo film ha avuto ampi consensi dalla critica e anche al botteghino.
Per promuovere il nuovo lavoro a Bologna c’è anche Marco Giallini che ormai sembra essersi specializzato nel ruolo del padre anomalo e Vittoria Puccini sempre più romantica e luminosa nelle sue interpretazioni.
La storia è quella di un barbuto psicanalista romano, interpretato proprio da Marco Giallini alle prese con tre casi disperati da sbrogliare che riguardano le sue adorate figlie. Continui equivoci, gag ben riuscite, interpreti accattivanti in una commedia corale dove il tema della diversità è sempre trattato in modo delicato.
«L’idea di interpretare un uomo maturo padre di tre figlie – ha spiegato Giallini – all’inizio mi ha disorientato un po’ ma dopo aver parlato a lungo con Paolo ho capito che poteva trattarsi di una splendida occasione. Per quanto riguarda l’approccio con le figlie direi di essere riuscito quasi come un papà perfetto».
Vittoria Puccini nel film è Marta, una dolce libraria con la testa tra le nuvole che si invaghisce di un ladro di libri sordomuto. «Ammiro molto il personaggio che ho interpretato perchè non ha pregiudizi. Spesso nella vita siamo condizionati da ciò che ci consigliano gli altri, dalla società in cui viviamo. Il fatto di buttarsi in una storia d’amore con una persona che ha un handicap, trovo sia una cosa coraggiosa e nel contempo importante perchè l’amore può arrivare da chi meno te l’aspetti».
Prima di lasciare Bologna c’è ancora qualche minuto, il tempo necessario per chiedere al regista in un’intervista personalizzata di raccontarci un aneddoto legato ai giorni di lavorazione. «Quando siamo andati negli Stati Uniti per trovare Jodie, la ragazza compagna nelle scene iniziali del film di Anna Foglietta, abbiamo fatto un casting con tante giovani di New York e Los Angeles. Erano circa quaranta le partecipanti ma una peggio dell’altra e così poco prima di girare, insieme ad un mio collaboratore abbiamo visto una ragazza in un bar che ci sembrava quella giusta. Ci ha detto che stava studiando per un provino di una pubblicità e abbiamo preso lei». Poi una spiegazione più precisa sul titolo del film: «In genere ci sono sempre una decina di titoli in ballo – ha spiegato ancora Paolo Genovese – ed eravamo molto indecisi. L’idea di citare Freud in maniera ironica mi sembrava un modo divertente per collocare questo film nella giusta maniera».
Emilio Buttaro