C’è chi cerca nel viaggio una risposta alle incongruenze della vita e chi si rifugia nella sedentarietà. Poi c’è chi per paura tace e chi, per il medesimo motivo, urla. La verità è che ciascuno scappa da sé stesso e dalla propria impotente mortalità. Ne sa qualcosa Gabriele Salvatores che della fuga ne ha fatto addirittura una trilogia e che nel suo nuovo meraviglioso film, Tutto il mio folle amore, riprende vecchi argomenti, lasciati forse in sospeso, ma in un’ottica nuova, più in linea con i nostri tempi. Anche se Salvatores non si lascia condizionare dai trend contemporanei.
Tutto il mio folle amore: recensione
Il regista Premio Oscar anche in questo film va controcorrente e sceglie gli elementi della natura per descrivere i moti dell’animo umano. C’è il vento in primis ma c’è anche il fuoco con il sole brillante e con le piccole lampadine che illuminano le notti gitane dell’Est Europa.
Poi ci sono l’acqua, simbolo dell’essenza femminile, e la terra arida e desolata nella parte più nomade del nostro continente. Ma, come accade ad un certo punto in Va dove ti porta il cuore di Cristina Comencini, anche in Tutto il mio folle amore è una folata di vento che riporta il caos in un ordine apparente. Come per mettere, così, le cose al posto giusto.
Tutto il mio folle amore: non è una cronistoria dell’autismo
Willy è un cantante soprannominato il Modugno della Dalmazia che ha il volto di un formidabile e quasi irriconoscibile Claudio Santamaria, il quale, scopriamo, sa pure cantare. Vincent (Giulio Pranno), è invece un ragazzo ‘speciale’ che definisce il padre «un tavolo». Imbandito? Vuoto? Non ci è dato saperlo. La mamma, per lui, è «nera» e «verde». Forse come la notte e come la rabbia? Sta di fatto che Elena (Valeria Golino) sente sulla propria pelle, in modo intimo ed indefinito, la responsabilità della malattia del figlio.
L’autismo, tuttavia, nel film non viene mai nominato, perché Tutto il mio folle amore, pur essendo una pellicola sulla diversità, non è una cronistoria della malattia.
Il lungometraggio è al contrario un semplice ed emozionante affresco sull’Amore che un ragazzo ‘speciale’ dona in modo disinteressato. Il film ci mostra, dunque, come la malattia, quanto il viaggio, riesca a redimere le persone rendendole più autentiche.
Se ti abbraccio non aver paura (il libro che ha ispirato il film di Salvatores)
Un film on the road
Gabriele Salvatores gira un film on the road. La strada, spesso sterrata – che viene percorsa a piedi, in moto o a cavallo – costringe i protagonisti ad uscire dagli schemi, un po’ alla vecchia maniera… non proprio come in Thelma & Louise ma quasi!
Salvatores sa che il movimento è catartico. Dopotutto anche Ulisse dovette viaggiare senza meta per tornare davvero a casa. Willy, però, non è un eroe dei nostri giorni. Lui, invece di affrontarla, la paura l’ha subita ed è scappato, lasciando Vincent prima che nascesse. Infine, con un atto di coraggio questo cantante squattrinato ritorna dal figlio tanto temuto, grazie al quale comincia a sentirsi davvero bene.
Willy fa ciò che forse pochi genitori farebbero: non si vergogna della diversità di Vincent e lo porta con sé, in viaggio. Non sa nulla di autismo e disabilità. E Vincent fa ciò che pochi figli farebbero: guarda il padre, non lo idealizza ma nemmeno lo odia per averlo abbandonato. Al contrario lo ama oltre le evidenti imperfezioni.
La paternità in disuso…
Tutto il mio folle amore è anche un omaggio ad una paternità che si sta evolvendo. Discostandosi dal romanzo, al quale si è ispirato (Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas, ndr), il film, difatti, sintetizza in due differenti uomini il duplice volto della paternità.
Da un lato c’è Mario, il padre adottivo di Vincent (Diego Abatantuono), un editor che si è preso cura del ragazzo e di Elena che però è stanco ed appesantito nel corpo come nella mente; dall’altro c’è Willy, il papà naturale ma assente. L’equilibrio tra i due è solo nell’Amore. Questa è dunque la risposta di Gabriele Salvatores al vivere moderno di una paternità in disuso.
Le musiche riscrivono la quotidianità dei personaggi principali
Tutto il mio folle amore è un film potente – come il messaggio che porta con sé – e non buonista. Di conseguenza sono inutili i paragoni con i recenti Beautiful Boy e Wonder o con il più datato Io mi chiamo Sam. Pura poesia, dunque, che ti resta nel cuore per giorni anche per le musiche di Mauro Pagani.
Vincent di Don Mclean – dedicata a Van Gogh – riscrive la quotidianità dei personaggi principali, tra passato e presente, conferendo ancor più forza a questo film. Da non perdere. (Marica Movie and Books, seguimi sui social se ti è piaciuta la recensione)