Continua il mio viaggio tra i libri e tra i documentari che si occupano degli intricati rapporti tra Ucraina e Russia soffermandosi sugli equilibri geopolitici fra potenze che si sono creati all’indomani della guerra fredda quando cadde il muro di Berlino e poi l’URSS si sciolse. Dopo aver recensito i documentari ‘Le stagioni del Donbass’ e ‘Winter of fire’, mi soffermo su ‘Ucraina in fiamme’ diretto da Igor Lopatonok con interviste di Oliver Stone che è il produttore (lo trovi qui).
Ucraina in fiamme: recensione
Prima di esaminare il filmato, occorre fare una premessa sostanziale. C’è differenza tra un documentario e un film. Il primo cerca o almeno dovrebbe tentare di ricostruire i fatti senza far trapelare l’opinione del regista sulla storia. Certo, lo sguardo e quindi l’idea di chi gira è determinante sullo stile ma non può in alcun modo condizionare e manipolare i fatti.
Un film, invece, anche se racconta eventi storici, non per forza di cosa deve essere obiettivo perché è un’opera d’arte. Inoltre un documentarista si dovrebbe sempre avvalere delle tecniche e dei metodi dell’investigazione giornalistica che dovrebbe bypassare i bias cognitivi, i pregiudizi, le opinioni.
‘Ucraina in fiamme’ purtroppo è l’ennesimo documentario che ci fornisce un unico punto di vista. Partendo dall’Euromaidan del 2013/2014, Oliver Stone ricostruisce in parte la storia dell’Ucraina omettendo però fatti determinanti. Il cineasta statunitense intervista alcune personalità, tra le quali emergono il presidente dell’Ucraina, Viktor Yanukovych – che fu costretto alla fuga dai rivoluzionari – e Vladimir Putin. Il punto di vista è dunque prevalentemente quello che della Russia. La tesi di Stone è questa: in Ucraina il Maidan è stato preparato dagli americani, e in modo particolare dai neoconservatori, che hanno messo i presupposti prima per la rivoluzione arancione del 2004 e poi per la rivolta scoppiata nel novembre 2013, quando non fu firmato un importante accordo commerciale tra Ucraina e UE sul libero mercato.
Stone ricostruisce la storia più recente dell’Ucraina in maniera piuttosto sommaria omettendo volutamente eventi storici per dimostrare che il Paese in realtà ha un’unica anima russa e che attualmente è nelle mani dei neonazisti e dei nazionalisti, che gli Stati Uniti stanno sostenendo e appoggiando anche finanziariamente. Per provare questa tesi ci parla in primis di Stepan Bandera, leader dell’Organizzazione dei Nazionalisti ucraini e fondatore dell’Esercito Insurrezionale ucraino, dicendoci che durante l’Operazione Barbarossa, in piena Seconda Guerra Mondiale, i nazionalisti dell’Ucraina si allearono con i Tedeschi contro i Russi. Ed è vero. Stone tuttavia tralascia dei fatti rilevanti che io qui ricostruisco proprio per restituire veridicità storica.
Cosa accadde negli anni Trenta?
La storia in realtà ci dimostra che da un evento se ne scatena un altro, perché tutto è collegato. Com’è possibile allora che gli ucraini o meglio una parte di loro decise di allearsi con i tedeschi mettendosi contro la Madre Patria Russia con la quale avevano legami e vincoli molto forti? Questa è la domanda da cui partire, ripeto non per trovare un colpevole ma solo per comprendere e conoscere usando la forza della ragione e dell’analisi.
Partiamo dagli anni Trenta, quando ai danni dell’Ucraina furono compiuti dal segretario del partito comunista sovietico, Iosif Stalin, dei veri e propri crimini. L’obiettivo dello stalinismo nei territori sovietici era mettere fine alla proprietà privata mediante tutta una serie di misure volte alla collettivizzazione e alla dekulakizzazione.
Quest’ultimo termine nasce dalla parola kulaki che significa piccoli proprietari terrieri, Stalin quindi condusse una campagna di annientamento e di terrore verso questi contadini che furono eliminati fisicamente o deportati nelle zone artiche o mandati poi a lavorare nelle fabbriche. Il prezzo fu terribile, perché con molta probabilità fra il 1932 e il 1933 morirono cinque milioni di persone per effetto della dekulakizzazione.
La collettivizzazione fu un incubo rurale. A pagarne le spese fu anche l’Ucraina e in modo particolare i contadini. La circolazione tra la Russia e le repubbliche ucraine fu sospesa nel 1932 e i confini furono presidiati dall’Armata Rossa. I kulaki furono soppressi e la popolazione contadina ucraina fu costretta a soddisfare le richieste statali per evitare la deportazione. Il prezzo fu altissimo in vite umane perché ci fu una tremenda carestia.
Lo Stato intervenne abbassando per tre volte le quote delle consegue obbligatorie di grano ma purtroppo questi provvedimenti furono poco incisivi. L’intento forse non fu propriamente un genocidio (su questo gli storici stanno ancora discutendo e le tesi sono diverse). Tuttavia il dato di fatto è che negli anni 1932-1933 l’Ucraina (soprattutto occidentale) fu teatro di orrende sofferenze su cui la Storia, pur non avendo fatto totalmente chiarezza, ha tuttavia alzato i riflettori.
Stalin in territorio ucraino compì degli abusi impedendo inoltre agli insegnanti e agli scrittori di decantare le grandi conquiste culturali della loro gente. La finalità fu certamente economica e politica. L’Ucraina era apparsa agli occhi dei bolscevichi come il cuore nero del regno dei kulaki e del separatismo nazionalista. Fu perseguitata anche la chiesa autocefala a causa di una filosofia di ateismo militante che dominò la campagna politica stalinista. E’ molto probabile che l’odio abbia generato altro odio, poiché Stalin (e su questo gli storici sono concordi) voleva sovietizzare tutte le repubbliche creando un’unica grande realtà e abbattendo ogni forma di proprietà privata a qualsiasi costo.
Furono questi fatti che alimentarono l’orgoglio nazionale ucraino portando una parte degli ucraini a spalancare le porte nientemeno che alla Wehrmacht? Non lo sappiamo. Ma bisogna tenerne conto, come bisogna prendere in considerazione che prima della grande guerra i territori occidentali della Galizia e della Lutenia appartenevano all’impero austroungarico e quindi è molto probabile che, a partire dall’Ottocento, risentirono delle influenze nazionalistiche austriache e polacche.
Ad ogni modo la domanda è: un popolo mortificato e ridotto alla fame (si calcola che morirono milioni di famiglie contadine, tra cui molti bambini) può dimenticare? Dire nel documentario che l’Ucraina ha una sola anima russa non è esatto. In Ucraina convivono due principali etnie. Chi lo nega sta dicendo una falsità.
‘Ucraina in fiamme’, nonostante questo difetto, ha il merito di raccontare una versione dei fatti, con l’aggravante però che trasforma degli indizi in prove (il fatto che personalità di spicco americane avessero buoni rapporti con i recenti governi del Paese non significa nulla) omettendo per ignoranza, disonestà o partito preso eventi storici importanti.
Al momento Putin dichiara di voler denazificare il Paese che non appartiene più alla Russia dal 1991 impedendogli di entrare nella Nato (che a suo dire sostiene i neonazisti) con un massiccio intervento militare. La causa principale della guerra, secondo la Russia, andrebbe ricercata nei crimini commessi dai neonazisti e dai nazionalisti ai danni della popolazione russofona. E’ una parte della verità o tutta la storia? Chissà!
UCRAINA, IL GENOCIDIO DIMENTICATO
Oliver Stone comunque ci ha fatto conoscere da vicino il punto di vista di Putin e, secondo me, non è poco perché il documentario, che risale al 2016, ci aiuta a comprendere almeno un po’ la matrice di questa guerra che forse si poteva evitare magari intervenendo in maniera diversa tra le parti! Vi consiglio dunque di vedere il documentario tenendo conto però che offre una sola visione della storia.