«Papà dice di non girarci mai indietro, altrimenti ci si rompe il muso»: è una delle frasi del film Un sacchetto di biglie che più mi ha fatto riflettere, perché non è affatto facile voltare le spalle al passato dopo che hai vissuto e superato la tragedia dell’Olocausto. Sì, Un sacchetto di biglie è l’ennesimo film sulla seconda guerra mondiale e sulla deportazione degli ebrei ma non fatevi ingannare da questo piccolo dettaglio perché la pellicola non è ripetitiva e merita, davvero!
[blockquote style=”1″]Una storia semplice eppure così intensa, così emozionante…[/blockquote]
A volte ci lamentiamo per niente e invece questo film – al cinema dal cinema dal 18 gennaio – ci insegna che di fronte ai problemi reali, che mettono a repentaglio la nostra vita, le risorse psichiche ci vengono in aiuto, se sappiamo riattivarle. Il film racconta la vicenda realmente accaduta di due bambini ebrei, Joseph e Maurice (Dorian Le Clech e Batyste Fleurial) che sopravvivono alla persecuzione nazista utilizzando astuzia e coraggio. Basato sul romanzo di Joseph Joffo, Un sacchetto di biglie coinvolge e appassiona, mostrandoci il punto di vista dei più piccoli così come accade per esempio ne Il bambino con il pigiama a righe.
Il regista canadese, Christian Duguay (lo aveva già fatto egregiamente in Belle & Sebastien) dimostra di sapersi calare nei panni di due bambini soli ma coraggiosi, portandoci con la sua macchina da presa in una Francia sconvolta dal nazismo e resa succube mentre il vento della resistenza soffia tuttavia forte. Il film convince proprio perché riesce a confermare che solo la saggezza innata e l’istinto di sopravvivenza possono davvero agevolare il percorso esistenziale. Il lungometraggio inoltre alza ancora una volta i riflettori sull’Olocausto, in modo nuovo e sicuramente vincente, mettendo al centro della trama la figura di un padre – che ha svolto con dedizione la sua missione educativa – e di due fratelli che si vogliono veramente bene. Da vedere!