Proprio qualche giorno, parlando con una persona, riflettevo sul fatto che attraverso il Cinema sto conoscendo l’opera e la biografia di personalità più o meno illustri che, attraverso le loro azioni, hanno provocato un certo tipo di cambiamento nella loro e nella nostra vita.
Guardando il film Una giusta causa, mi sono venute più volte in mente quelle parole: la settima arte continua ad arricchirmi intellettualmente, rendendo la mia vita più stimolante.
Sia inteso Una giusta causa non rientra tra quei film che ti restano davvero nel cuore condizionando la tua quotidianità per giorni ma dei meriti ce li ha.
La pellicola, difatti, si occupa di vita vissuta portando all’attenzione del pubblico una storia coinvolgente che merita di essere conosciuta perché, grazie all’impegno della protagonista, oggi negli Stati Uniti uomini e donne possono beneficiare degli stessi diritti civili davanti alla Legge.
Una giusta causa è un film molto cerebrale… ragionato, meditato, poco impulsivo (almeno fino alla scena conclusiva) nonostante l’indole della protagonista sia del tutto agli antipodi. Felicity Jones in questa pellicola interpreta il ruolo di Ruth Bader Ginsburg, ad oggi una delle personalità femminili più influenti d’America.
La macchina da presa di Mini Leder ripercorre una parte della vita della Ginsburg (dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Settanta) che fu tra le prime donne ad essere ammessa alla facoltà di Giurisprudenza di Harvard e poi seconda donna a essere nominata alla Corte Suprema, mostrandoci come il sessismo e i pregiudizi di genere, che Ruth subì all’inizio della sua carriera, furono in realtà una grande motivazione per lei.
Ma il film ci svela anche una Ruth inedita che non si diede mai per vinta anche tra le pareti domestiche, nemmeno di fronte alla malattia del marito o alle ingiustizie subite quando, nonostante il suo curriculum brillante, nessuno studio legale dopo la laurea volle assumerla perché era una donna.
Il lungometraggio ci fa vedere anche come la parità di fatto all’interno del rapporto di coppia (Marty, il marito della Ginsburg, è interpretato da Armie Hammer) sia indispensabile per la crescita professionale di entrambi i coniugi.
In Una giusta causa vediamo più volte Marty non solo sostenere la moglie ma anche fare le faccende domestiche (era anche lui uno stimato avvocato). Ed è proprio su questo aspetto che ruota tutto il film: la Ginsburg si batté affinché per la Legge la cura e l’accudimento non rientrassero tra le mansioni esclusivamente femminili partendo da un caso di discriminazione al contrario che impediva a un uomo di beneficiare della detrazione fiscale per l’assistenza dell’anziana madre proprio perché era di sesso maschile.
Insomma da un caso particolare la Ginsburg, sostenuta dall’avvocato progressista Dorothy Kenyon (Kathy Bates) e dal legale attivista Mel Wulf (Justin Theroux), riuscì a smuovere le coscienze di un pugno di magistrati cambiando le Leggi limitanti sulla parità di genere. Il monologo finale è la sequenza più bella ed incisiva di tutto il film. Un plauso inoltre al costumista perché il look di Ruth è stupendo.
Una giusta causa è un film da vedere per conoscere ed è sconsigliato invece ai maschilisti poiché ne uscirebbero sconvolti.
Una giusta causa, la nota finale
Siamo davvero sicuri che le cose siano davvero cambiate? Le Leggi ci sono. Ma le incombenze domestiche e il lavoro di cura cadono ancora sulle donne. Le badanti non sono forse donne? E comunque gli uomini con il grembiule, che lavano i piatti e cucinano, sono ancora una rarità.
Il Movimento Femminista sta inoltre subendo una stasi. Bisogna agire per cambiare le mentalità come ad un certo punto del film suggerisce Dorothy Kenyon. (Recensione di Maria Ianniciello)
Qui il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=SmQGbnroojM