Sembra sempre più difficile che un film italiano possa stupirci e conquistarci. Veloce come il vento di Matteo Rovere è tra questi. Lungi da noi generalizzare o cadere nell’etichetta che torna come un ritornello, “il cinema italiano è in crisi”, anzi siamo mossi dal desiderio di ricordarci quanto sia importante non approcciarci con pregiudizio alla visione. In più le uscite degli ultimi tempi, da “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese a “Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti (due titoli tra i più esemplificativi), a cui si aggiunge dal 7 aprile 2016 questa pellicola dimostrano che c’è energia creativa e voglia di mettersi in gioco.
Scoprendo la trama di Veloce come il vento il pensiero andrebbe subito a “Rush” di Ron Howard (2013), ma nel caso nostrano la scrittura si focalizza su aspetti intimi e familiari declinati anche attraverso la velocità dell’auto, ma la scelta è virata nell’andare al cuore dei personaggi e degli spettatori. Elemento ancora più peculiare è il ruolo centrale di una donna (costante dei film di Rovere se pensiamo al suo esordio, “Un gioco da ragazze”, 2008), in questo caso, diciassettenne. Giulia De Martino (Matilda De Angelis) è una giovanissima pilota e ci viene presentata subito come tale. È proprio lei a farlo in voice over e coi fatti mentre gareggia in pista per il campionato GT. Dal taglio degli occhi azzurri, incorniciato dal casco protettivo, arriva tutta la determinazione di una ragazza che è affascinata e bazzica in quel mondo, ma al contempo forse c’è qualcosa che non le fa premere completamente il piede sull’acceleratore.
La sua voce si confonde con i rombi dei motori che talvolta la sovrastano per poi lasciare la palla a suo padre con cui dialoga tramite auricolare. Lui la guida amorevolmente dai box, diviso tra la paura per lei e quella che non corra abbastanza, ma purtroppo il destino è beffardo e accade il colpo al cuore non per uno scontro tra auto come si potrebbe ipotizzare. Venuta meno la figura paterna, Giulia si ritrova con un fratello più piccolo da accudire, Nico (Giulio Pugnaghi), e responsabilità che vanno ben oltre la sua età. A metterci il carico da novanta è il ritorno del fratello maggiore Loris (Stefano Accorsi). Trasandato e con problemi di droga, appare subito poco affidabile. La sceneggiatura di Veloce come il vento scritta a sei mani con Filippo Gravino e Francesca Manieri non ha paura di dire (affrontando anche le questioni delle corse clandestine) né di far vedere.
Troppo spesso i legami famigliari vengono dati per scontati e in Veloce come il vento si nota e si prova proprio sulla pelle come anche l’essere fratelli di sangue implichi una costruzione del rapporto e un conquistare la fiducia dell’altro. Tra Giulia e Loris sarà un testa a testa all’inizio e ogni giorno, grazie anche all’amore per le auto, affronteranno, a loro modo, il nodo principale con tutte le varie sfumature. Lei è più adulta di quanto non lo siano i coetanei, lui è giocoso e schiacciato dai fantasmi interni. Era detto il ballerino per come guidava, poi le cattive strade fanno perdere quella principale, arriva la frustrazione interna, ma la passione resta quando è pura. Dopo averlo visto in anteprima al Bif&st 2016, vi consigliamo caldamente di andare in sala per conoscere come si evolve la storia, ma anche per provare direttamente perché si resta incollati sulla poltrona viaggiando tra piste, strade di città, vicoli stretti di Matera e non solo e, in parallelo, lungo percorsi interiori.
In questo film Rovere sfrutta l’adrenalina presente nel nostro immaginario quando pensiamo alle corse automobilistiche e la fa scatenare in campo su più livelli. Da un lato, infatti, dimostra un’ottima padronanza del mezzo e offre spettacolari corse in auto o inseguimenti anche in motorino che fanno tornare in mente “Motorway” di Pou-Soi Cheang (2012), ma non solo. Dall’altro punta su un’adrenalina che scaturisce dall’interno, di pari passo col climax dei personaggi, suggerendo quanto tutto sia realistico e non frutto di ricostruzioni al computer o meri effetti speciali. Ciò si verifica anche per merito delle prove attoriali. La De Angelis aveva già lasciato il segno sul piccolo schermo nella fiction Rai “Tutto può succedere” e qui conferma come abbia talento, potenzialità ed espressività per dar corpo a una donna «così forte e indipendente come vorrei essere anch’io da grande», ha dichiarato l’attrice. Accorsi, dimagrito per l’occasione di ben undici chili, si è calato completamente nel ruolo di Loris – liberamente ispirato ad Antonio Capone, talentuoso ex pilota di rally – aderendovi totalmente, colorandolo con battute e cadenze romagnole. Degno di nota è pure Paolo Graziosi, che interpreta Antonio Dentini detto Tonino, il meccanico che resta accanto della giovane dopo la morte del padre. Nella realtà è stato proprio lui a raccontare questa storia (ovviamente modificata e romanza) al regista.
Veloce come il vento, ci teniamo a dirlo, non è solo per gli appassionati di corse, arriva a tutti e questo è uno dei punti di forza del lungometraggio. Anzi, proprio per il lavoro compiuto in profondità e con sensibilità, dando vita a vari fili che si intrecciano per comporre il romanzo di formazione ad personam per ogni personaggio, sarete coinvolti e magari anche incuriositi nel recuperare film di genere come “Velocità massima” di Daniele Vicari (2002) per le corse clandestine o “Giorni di tuono” di Tony Scott (1990) in cui le corse nei circuiti si mixano con note amorose. Tornando a “Veloce come il vento” vi travolgerà e vi farà sorridere, tra accelerazioni, pathos, fragilità e «paura di anticipare la curva» accettando che «non si può sempre controllare tutto». Di seguito alcune immagini e il trailer del film.