“Restiamo umani”. Questo pare, forse, essere il vero leit motiv della 70.ma edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. La quarta giornata si apre, infatti, con una serie di splendide pellicole incentrate sullo studio e l’approfondimento dei personaggi piuttosto che sugli effetti e le tecniche cinematografiche. Una vera e propria ovazione ha accolto, in sala stampa, l’arrivo di Judi Dench che, con una magistrale interpretazione della vera storia di Philomena Lee, nell’omonimo film girato da Stephen Frears, in concorso per Venezia 70, rende giustizia alla triste e particolarissima storia di una donna che non ha mai rinunciato all’idea di ritrovare il figlio sottrattole da un’Irlanda bigotta e violenta. Tantissime sono state le domande indirizzate all’attrice che ha evidenziato, con forza, l’importanza estrema di dare voce all’emotività vissuta dalla vera protagonista della vicenda.
A dimostrazione del forte spirito intimista di questa giornata festivaliera, l’opera prima di Enrico Maria Artale “Il terzo tempo” , in competizione per la sezione Orizzonti, è una metafora della vita che, attraverso l’azione salvifica dello sport, torna a girare per il verso giusto offrendo, così, una speranza alla redenzione del giovane e sfortunato protagonista. Il film, prodotto da Aurelio e Luigi De Laurentiis, è in realtà, un produzione del centro sperimentale di cinematografia della Biennale di Venezia e ha riscontrato, nelle parole di Aurelio De Laurentiis, un forte consenso suscitando, tra l’altro, l’idea, da parte dell’imprenditore, di istituire un fondo a disposizione dei soggetti più interessanti prodotti dal centro. Nella sua, ormai nota, veste di contestatore Aurelio De Laurentiis ha sottolineato, inoltre, l’attuale inefficienza del Cinema e, a parte l’elogio fatto all’operato del centro sperimentale e di Elisabetta Bruscolini, simpaticamente definita, “seminatrice di spermatozoi”, ha ulteriormente polemizzato sulla monotematicità dello sport in Italia.
Subito dopo la parentesi dedicata all’ambientalismo radicale di “Night Moves”, girato da Kelly Reichardt, l’attenzione si è riversata su “Wolf Creek 2” di Greg Mc Lean (fuori concorso), sequel del fortunatissimo film incentrato su un personaggio che rappresenta l’incarnazione degli incubi che popolano l’inconscio australiano e che pare avere tutte le carte in regola per confermare il grande successo ottenuto con il primo film. Last, but not least, il film di James Franco “Child of God”, in concorso per Venezia 70, tratto dal romanzo di Cormac McCarthy ed interpretato da un sorprendente Scott Haze, è l’analisi dell’involuzione, degradante, di un essere umano privato degli affetti e dei legami familiari che vive al di fuori dei cardini del vivere civile e che ricorda, purtroppo molto da vicino, molte delle vicende sociali, politiche e culturali che il mondo è attualmente costretto a sopportare.
Raffaella Sbrescia