Alluvione a Benevento: la rete si mobilita, velocemente, con campagne per aiutare le aziende in difficoltà. Lo fa senza sosta e certamente con maggiore incisività dei media e della carta stampata, che hanno il difetto di arrivare a Sud sempre in ritardo, perché le telecamere nazionali si accostano a quest’angolo dimenticato d’Italia con cautela e la luce dei riflettori è soffusa. La Campania è sempre stata terra di nessuno e i politici se ne ricordano solo per fini elettorali. Cercando di comprendere i motivi di questa miopia politica e mediatica, rischiamo di avventurarci in un territorio inesplorato che confina con la demagogia. Il nostro intento è un altro e, a mio avviso, è molto più costruttivo. Secondo alcune fonti, la Procura sta indagando per individuare le responsabilità, perché il Sannio è stato messo in ginocchio da una pioggia sì torrenziale ma che rientra nella normalità del ciclo stagionale. Le condizioni metereologiche delle ultime settimane erano prevedibili; quanto accaduto e, quindi il successivo stato di emergenza, è un caso eccezionale che non rientra nella norma. Questo è bene chiarirlo. Che la provincia di Benevento fosse a rischio alluvione, lo si sapeva in realtà già da diverso tempo (come si evince da un articolo del quotidiano locale Ottopagine pubblicato nel settembre 2015).
Dall’ultima alluvione del 1949 ben poco è stato fatto nel Sannio per evitare esondazioni del Calore e dei suoi piccoli affluenti. Secondo uno studio del geologo Salvatore Soreca,“una bomba d’acqua con ricaduta omogenea di 150 ml d’acqua in un’ora (a partire da mezzanotte di un ipotetico giorno di ottobre) provocherebbe l’accumulo di circa 339.300.000 mc d’acqua su una superficie di 2.262 chilometri quadri”. Soreca conclude la sua indagine scrivendo: “Il Rischio idrogeologico da alluvione nel medio-basso corso del Fiume Calore Irpino è rimasto circa immutato dal 1949, sono soltanto cambiate le condizioni al contorno. S’individuano fattori di riduzione e di accrescimento del Rischio, che si bilanciano a vicenda. Tra i primi: la diminuzione drastica delle portate in alveo del Fiume Calore a valle di Ponte Romito e la maggiore uniformità delle portate del Fiume Tammaro grazie alla presenza della Diga di Campolattaro; la diminuzione globale delle aliquote di precipitazione durante la fase di morbida che si riflette su una portata di morbida meno consistente; i maggiori prelievi in alveo a scopo irriguo; le coerenti opere di arginatura fluviale nei centri abitati danneggiati dalla piena del 1949 e la ricostruzione dei ponti secondo criteri progettuali più conservativi e tesi a limitare i fenomeni di occlusione e interferenza. Tra i secondi: lo sviluppo sempre più frequente di “bombe d’acqua” brevi e intense, che provocano un quasi totale trasferimento da precipitazioni a ruscellamento superficiale in alveo (che il bacino ha difficoltà a smaltire), l’antropizzazione incontrollata e non sempre rispettosa delle fasce di perimetrazione della pericolosità da parte dell’AdB competente (ex Liri-Garigliano-Volturno), la presenza di ponti costruiti non sempre secondo criteri adeguati, una scarsa o non adeguata pulizia d’alveo e subalveo, con rimozione della vegetazione infestante inadeguata o poco pertinente, e in ultimo (ma non meno importante) una scarsa informazione scientifica alla cittadinanza sul possibile manifestarsi di eventi alluvionali di una certa ricaduta e sulle misure di salvaguardia e prevenzione che è necessario adottare per minimizzare il Rischio potenziale”. Qualcosa, dunque, è andato storto.
Per approfondimenti potete scaricare il pdf qui: Lo Studio
Come vedete la tragedia era evitabile, bastava solo operare sul territorio, senza tergiversare, con raziocinio ed efficienza affidandosi a esperti e imprese competenti. Il dissesto idrogeologico, però, non interessa solo la Campania; si tratta di un problema nazionale che coinvolge molte regioni del Nord (il Veneto ha il primato) e la causa va ricercata innanzitutto nella cementificazione selvaggia e disordinata. Nel libro “La Colata” (Chiarelettere), scritto da Ferruccio Sansa, Andrea Garibaldi, Antonio Massari, Marco Preve e da Giuseppe Salvaggiulo, si affronta il problema dal punto di vista soprattutto edilizio. L’Italia, secondo la ricerca degli autori, rischia di essere rovinata dal cemento e dall’asfalto, proprio com’è accaduto dagli anni Sessanta in poi con l’industrializzazione messa in atto senza alcuna lungimiranza. Sì. Lungimiranza: una delle parole più affascinanti del nostro vocabolario che, se trasformata in azione, può migliorare la qualità della nostra vita. Ognuno di noi ha il dovere morale di affinare il senso di responsabilità collettivo, chiedendo a gran voce amministratori sempre più qualificati, per evitare altri fenomeni calamitosi e per vivere un presente sereno, auspicando un futuro migliore.