In Italia c’è gente che s’improvvisa giornalista magari svolgendo altri lavori (la legge lo consente) e poi ci sono persone che dedicano una vita al giornalismo, cominciando dal basso, nelle redazioni, con la speranza di poter un giorno fare lo scoop della vita. L’improvvisazione è figlia di una forma mentis diffusa che sta distruggendo il nostro Paese e in particolare il giornalismo, una professione che dovrebbe essere tutelata di più. Il giornalista vero si forma nelle redazioni e non in una scuola, così come l’avvocato nei tribunali, il medico con il tirocinio negli ospedali, l’architetto con i primi progetti…
La formazione è importante, e le scuole di giornalismo hanno una loro funzione, ma la pratica è prioritaria. Perché questa riflessione? Perché è opinione diffusa tra i giovani, soprattutto a Sud, che per diventare giornalista basta scrivere una settantina di pezzi, inoltrare una pratica all’Ordine della propria regione e il gioco è fatto! In realtà non è la burocrazia che decreta la validità di un giornalista ma la costanza, la determinazione e in primis il fiuto per le notizie: stare sui fatti, seguirli… alzandosi dalla poltrona di casa per vedere e raccontare, per ascoltare. I miei maestri mi hanno insegnato che nei trafiletti degli articoli, collocati nelle pagine interne dei quotidiani, si scoprono i fatti, quelli veri!
La professionalità è fondamentale in questo settore, così come in altri ambiti della vita sociale, per crescere e migliorare, in quanto la corretta informazione crea la coscienza collettiva.
Detto questo, mi preme ricordare tutte quelle persone che hanno vissuto di giornalismo, da Indro Montanelli a Oriana Fallaci, da Tiziano Terzani a Enzo Biagi. Senza dimenticare i reporter che hanno perso la vita per raccontare; ultima Mika Yamamoto, la giornalista giapponese che qualche giorno fa, per vedere e informare, è morta in Siria. Angeli dell’informazione! Che siano queste persone gli esempi di CulturaeCulture.it
Maria Ianniciello