La bolla mediatica che ha visto Il Volo, popolarissimo trio di tenori, nell’occhio del ciclone è, ormai, sotto gli occhi di tutti e non accenna a ristringersi. La presunta devastazione delle stanze di un hotel di Locarno da parte dei tre artisti è stata, stando alle ultime notizie, smentita dallo stesso direttore dell’hotel, il quale ha più volte ridimensionato la faccenda nelle interviste rilasciate. A noi di Cultura & Culture, però, interessa poco (anzi, nulla) il gossip e ancor meno le polemiche. Tutta questa faccenda, ci ha spinto a una riflessione che va ben oltre l’accaduto e, in un certo senso, coinvolge tutti noi anche quando non siamo esposti dal punto di vista mediatico. Andiamo con ordine, partendo proprio dal caso de Il Volo: ragazzi molto giovani e dotati di un talento fuori dal comune, dote che tutti possiamo ammirare attraverso i dischi che hanno inciso o i concerti in giro per il mondo. Un successo inaspettato per certi versi, ma che ha richiesto anni di duro lavoro e sacrifici da parte dei tre. All’improvviso scoppia la bufera: Gianluca Ginoble, Piero Barone e Ignazio Boschetto, che al pubblico si presentano sempre con garbo ed educazione vengono accusati, da un giorno all’altro, di aver devastato in modo a dir poco ignobile il loro alloggio, in quanto “scontenti” del trattamento ricevuto dal personale dell’hotel (va detto, a onor di cronaca, che non si tratterebbe di malcontento, ma solo di allergia di uno dei ragazzi alla polvere e alla moquette che, si sa, di pulviscolo ne trattiene fin troppo). Dal momento in cui la notizia esplode tutti i più importanti giornali la riprendono, qualcuno la modifica o la gonfia un po’ e il risultato è un’onda gigantesca che si riversa sulla privacy e sulla dignità di tre giovani ventenni. E’ successo o no? E’ proprio come scrivono i giornali? E’ stata una cattiveria di qualche invidioso? A quanto pare non esistono prove di alcun tipo e, per di più, il presunto “guaio” è rimasto nascosto per ben tre giorni da quando sarebbe avvenuto, o almeno così sembra. Il pubblico si divide; in molti trovano assurda una cosa del genere, altri sputano sentenze, qualcuno del vero e proprio veleno. Il caso è emblematico del cambiamento dei media, del modo di dare e ricevere le notizie, delle reazioni del pubblico e della nostra società. Potrà apparire esagerato tirare in ballo i principi della democrazia e del nostro ordinamento giuridico in una faccenda come questa, ma vedrete che non è così: spesso siamo portati a schierarci, a dividerci in gruppi piuttosto netti di “favorevoli” e “contrari”, “innocentisti” e “colpevolisti”. Il nostro ordinamento, però, stabilisce che chiunque sia accusato di una colpa è innocente fino a prova contraria. Troppe volte, purtroppo, la nostra società non ha perdonato il sospetto, facendolo passare per incontestabile verità. Non solo: quando tale sospetto coinvolge un personaggio pubblico si aziona una potentissima macchina di denigrazione e linciaggio mediatico difficilissima da bloccare. Quante volte i titoli di un giornale o le voci sono state smentite punto per punto, ma la rettifica non è mai avvenuta o è stata relegata a un angolino angusto di un quotidiano o negli ultimi venti secondi di un telegiornale? Alcuni, come si dice, “cavalcano l’onda” di certe notizie, ma quando la potenza di queste diminuisce o viene delegittimata, semplicemente e assurdamente, non interessa quasi più nessuno. Ricorderete di sicuro Tangentopoli o il caso di Enzo Tortora, ma di storie simili ce ne sono tante e di alcune non si arriva mai a capire la verità. Perché ci comportiamo così? Non può essere solo invidia o senso di rivalsa, forse c’è qualcosa di più profondo. La questione de Il Volo, del resto, è facilmente riassumibile: non ci sono prove contro i tre ragazzi, dunque sono innocenti fino a prova contraria. Si dovrebbe riportare l’accusa e la difesa in egual modo, astenersi dal giudizio e chiudere la questione finché i legali non avranno fatto il loro lavoro e, soprattutto, tutelare entrambe le parti. E invece se ne parla da giorni, ognuno ha la verità in tasca e persino le inarrivabili doti canore dei ragazzi sono passate in secondo piano (si voleva forse questo? Chissà, non possiamo provarlo). A ogni accusa pesante segue, ovviamente una difesa altrettanto strenua, in un circolo vizioso di opinioni che si accavallano e non finiscono mai. Se l’essere umano non potesse concepire la vita senza il giudizio e la possibilità di schierarsi? Se la facoltà di dare sempre e comunque un’opinione, come anche di accusare o difendere, fosse un modo per “etichettare” la vita che, di per sé, è incontrollabile, cercando di dare una spiegazione a tutto e, dunque, di avere l’impressione di poter tenere sotto controllo una realtà sempre più sfuggente? Certo, questa presunta mania di controllo è pericolosa, talvolta un perverso gioco mortale, ma se ci pensiamo bene non è una questione che riguarda solo chi vive già sotto i riflettori. La nostra società, infatti, sta diventando sempre più un Grande Fratello in stile Orwell. O meglio, ci sono tanti “piccoli Grandi Fratelli” di cui faremmo volentieri a meno e che hanno non solo un occhio vigile che scatta foto della personalità di ognuno di noi, ci scannerizza in base a modelli predefiniti (non è Robocop, ma ci stiamo avvicinando) ma, soprattutto, giudica se la scansione del nostro io è più o meno lontana da modelli predefiniti, graziosi “pacchetti” infiocchettati in cui si pretende che entrino tutta la nostra anima e il nostro pensiero. Guai a discostarsene. Prendiamo la vicenda de Il Volo: alcuni li hanno già accostati alle rockstar maledette, stile Kurt Cobain (nella foto a sinistra), eppure nessuno ha ancora capito se in quelle stanze d’albergo è accaduto qualcosa e cosa di preciso. Chi li difende trova assurdo che dei bravi ragazzi possano aver compiuto uno scempio simile, chi li accusa sostiene che il successo abbia dato loro alla testa. Anche qui si ragiona per categorie prestabilite. Forse sarebbe più giusto fare un altro ragionamento, oltre a quello suddetto che riguarda i principi democratici: i tre ragazzi sono persone normali (di successo, ma di questo parleremo più avanti) che non hanno mai fatto pensare, attraverso i loro comportamenti, di essere dei vandali e hanno sempre avuto il rispetto di ciò che li circonda (cosa che va ben oltre “l’esser buoni”. Che vuol dire essere buoni o cattivi? Su che parametro misuriamo bontà e cattiveria in casi come questi?).
Per evitare che qualcuno fraintenda il discorso, chiariamo: nessuno mette in dubbio la genuinità dei ragazzi, al contrario. In realtà stiamo mettendo l’accento su quanto sia variegata la personalità di ciascuno e, invece, netti, poco argomentati e superficiali i giudizi, talvolta anche quelli positivi. Insomma, come i tre giovani tenori, tutti noi dobbiamo uniformarci a un modello preconfezionato di personalità: “buoni”, “cattivi”, “introversi”, “estroversi”, “chiacchieroni ovvero estroversi”, “silenziosi ovvero introversi” e così via. I Grandi Fratelli ci osservano e basta una delazione perché tutti gli altri “occhietti inquisitori” ci mettano alla gogna senza nemmeno un equo e giusto processo (ammesso che possiamo essere processati per cose che riguardano la nostra privacy e la dignità). E’ accaduto o meno? Siamo davvero come ci dipingono o come credono di conoscerci? Che importa, ciò che conta è fare del pettegolezzo, sapere fin nei minimi dettagli per poi “incasellare” ogni individuo in categorie che, talvolta, neppure noi sappiamo davvero definire. Tacere non è contemplato, aspettare le prove figuriamoci. Il Volo, poi, si discosta dalla “norma” anche per il successo e per giunta in giovane età, notevole dettaglio che molti non perdonano. Non potevano solo essere dei “buoni” ragazzi anonimi? No, dovevano mettere a frutto le loro doti, “schiaffeggiare” inconsapevolmente chi vive senza mai aver rischiato, o chi ci ha provato e ha fallito. L’abbiamo detto molte volte: successo e fallimento non sono definibili in maniera precisa. Anche in questo caso ci serviamo di asfissianti categorie, ovvero: successo uguale fortuna improvvisa, fallimento uguale inettitudine, incapacità, sogni infranti per sempre. No, ci dispiace dirvelo, ma il successo è modellabile in base alla nostra personalità, il fallimento non è che una caduta da cui possiamo rialzarci. Molti ritengono che avere successo voglia dire fare soldi, avere un marito/moglie o fidanzato/fidanzata ricco/a, bello/a, coltissimo/a, sempre premuroso/a, avere un lavoro pagatissimo, “popolare”, di comando, essere riconosciuti per strada, sposarsi entro i trenta, avere un figlio il mese dopo il matrimonio (ma non erano nove mesi di gestazione?), il secondo figlio entro i trentacinque, una prole perfetta, due lauree, la pazienza di un santo e il fascino di Grace Kelly (o Clark Gable per gli uomini). Mostruoso! E, se dovesse capitare un uomo o una donna che ha tutto questo, verrebbe bersagliato dalle invettive e dai pregiudizi senza il beneficio del dubbio (Antoine cantava: “Se sei bello ti tirano le pietre; se sei brutto, ti tirano le pietre”. La canzone si chiamava, manco a farlo apposta, “Pietre”, del 1967). Il guaio è che simili pensieri castranti ci sono sempre stati e ne hanno fatto le spese artisti e grandi pensatori. Alcuni sono stati bistratti, incompresi e molti hanno trovato il successo solo dopo la morte, poiché il loro genio non è stato riconosciuto, o è stato affossato quando erano in vita, per rivalse o invidie o, semplicemente, per mancanza di lungimiranza. Facciamo qualche esempio illustre:
Vincent Van Gogh (1853-1890): in vita venne costantemente osteggiato e la sua arte denigrata, tant’è che vendette un solo quadro ma, nonostante ciò continuò a dipingere perché, per lui, era di vitale importanza.
Friedrich Nietzsche (1844-1900): nell’ambiente dei grandi filosofi le sue teorie non vennero comprese e lui relegato ai margini delle correnti di pensiero del suo tempo.
Frida Kahlo (1907- 1954): per tutta la vita dovette combattere contro il “pregiudizio” di chi considerava i suoi dipinti surrealisti. Frida ci tenne a precisare che non ritraeva sogni o fantasie, ma la sua realtà, la sua vita, se stessa, perché questo era il soggetto che conosceva meglio.
Johann Sebastian Bach (1685-1750): un genio musicale, eppure il talento di compositore non gli venne mai riconosciuto finché visse. Oggi lo ricordiamo soprattutto per questa sua strabiliante creatività in musica.
Emily Dickinson (1830-1886): non fu facile, per Emily, pubblicare poesie. Il suo stile era considerato troppo poco ricercato per l’epoca e la notorietà arrivò davvero solo dopo la morte.
Gregor Johann Mendel (1822-1884): i suoi esperimenti che avrebbero portato alle teorie sull’ereditarietà vennero considerate alla stregua di un gioco. Inutili, senza alcun valore scientifico. Solo nel Novecento se ne sarebbe compresa l’importanza.
Edgar Allan Poe (1890-1937): vita tragica e un talento non riconosciuto dalla critica, la quale fu sempre ostile nei confronti di Poe. Le sue novelle, però, vengono lette, apprezzate, citate e trasposte ancora oggi.
Claude Monet (1840-1926): dipinse capolavori mai apprezzati, collezionando fallimenti. Grazie a lui, però, nacque l’Impressionismo e il suo talento, ancora oggi, non ha prezzo (o meglio, è davvero molto alto).
Galileo (1564-1642): ridicolizzato, costretto ad abiurare ai suoi stessi studi dopo un ingiusto, infamante processo. Molto di ciò che sappiamo sull’universo, però, lo dobbiamo a lui.
H.P. Lovecraft (1890-1937): grande esempio di uno scrittore decisamente troppo avanti per la sua epoca e, per questo, bistrattato. Eppure i suoi scritti continuano a influenzare gli autori di oggi.
Gli esempi potrebbero continuare: dalla vita dura della conduttrice americana Oprah Winfrey, a cui fu detto, ai primi provini, che non sarebbe arrivata da nessuna parte e che il suo viso non “bucava lo schermo” fino a Francesco De Gregori o Lucio Battisti. Quest’ultimo, nell’Italia moralista e bigotta di non molti anni fa, dovette difendersi dall’accusa di seguire ora l’orientamento politico di destra, ora quello di sinistra. In un celebre programma di Renzo Arbore rivendicò il fatto di essere solo se stesso, ovvero Lucio Battisti (e noi lo ringraziamo per questo, perché ci ha donato perle immortali). Quale lezione possiamo trarre da queste vicende e da quella che vede coinvolto il trio de Il Volo? Siamo ossessionati dalle etichette, sentiamo il bisogno di stabilire chi è con noi e chi è contro di noi in base a parametri che riteniamo scientificamente esatti, ma non sono che proiezioni distorte della realtà utopistica che vorremmo. A volte non sappiamo fermarci nemmeno di fronte all’intimità, non riusciamo ad attendere di avere un quadro preciso delle situazioni, perché per noi è più urgente schematizzare, osservare, scrutare senza pietà, ritenendoci piccoli giudici di un mondo che, al contrario, va avanti anche senza di noi. Dove finisce la libertà e inizia la possibilità di giudicare, ammesso che tale opportunità esista? La nostra smania di ridurre l’inafferrabilità del mondo alla banalità di una formula mai scientificamente provata è in grado di bruciare persino i talenti più promettenti, se questi non hanno la faccia tosta, o meglio, se non conoscono il diritto di proteggersi, di difendere ciò che hanno creato dall’assalto di chi non lo comprende o non lo accetta perché non ha trovato la bellezza nella propria vita, quindi non può ammettere che questa esista nelle vite degli altri. Ricordiamolo prima di prendercela con chiunque, debole o forte che sia. La perfezione non abita qui e, di certo, non ha dimora la perfezione fasulla di quanti ostentano un finto moralismo. Sulla questione de Il Volo dobbiamo fermarci e riconoscere che non sappiamo, come per molte altre cose del mondo. Finché non verrà fuori la verità non abbiamo diritto di sentenziare, ma quello, più giusto, di tacere e garantire sempre la possibilità di difesa. Dobbiamo farlo, perché un’opinione affrettata può davvero mutare il corso delle cose e se è sbagliata fare danni irrimediabili. Concentriamoci, invece, su ciò che conosciamo: le canzoni di questo giovane trio e valutiamo queste, ma con onestà intellettuale e argomentazioni che non siano pretestuose. Forse ci sarà qualche “click” o “like” in meno, ma saremo certi di aver davvero fatto il nostro lavoro, come già lo sta facendo Il Volo non arrendendosi e continuando a cantare.