Tante persone mi chiedono perché io abbia lasciato la carta stampata. Ogni tanto divago, spesso rispondo, altre volte decido di cambiare discorso; in realtà non mi piace dare spiegazioni e odio rispondere alle domande, forse perché per deformazione professionale preferisco farle, come d’altra parte m’infastidiscono i consigli non richiesti. C’è chi si prodiga a darti delle dritte su cose molto personali. Tempo fa una persona mi chiese informazioni sui mezzi di sussistenza di una Testata online. Divagai. In verità la maggior parte dei giornali web si regge sulle pubblicità e il meccanismo è piuttosto complesso, perché le concessionarie (così si chiamano le agenzie che raccolgono e forniscono la pubblicità) pagano pochi centesimi ogni mille impressioni di pagine (CPM) e questo significa che, per ottenere buoni introiti, il portale deve riuscire a fare milioni di visualizzazioni mensili. Le concessionarie usano questa formula credo per un motivo essenziale, su cui voglio soffermarmi un attimo. I siti internet sono milioni in Italia e le testate giornaliste si moltiplicano sempre di più. I contenuti sono simili e spesso non esiste una linea editoriale ben definita, ci si improvvisa, con grosse ripercussioni sulla figura del giornalista che oggi ha perso la propria funzione. Si fa addirittura confusione tra un prodotto editoriale e un blog. Molti blogger creano dei portali e fanno informazione, spesso senza averne i requisiti, copiando altri prodotti. In questo mondo selvaggio, privo di regole, la qualità è sempre subordinata alla quantità. Le notizie sono tutte uguali, perché purtroppo l’abitudine del copia e incolla regna sovrana. A farne le spese sono quei piccoli editori che credono nel giornalismo alla vecchia maniera e investono nel loro piccolo sulle risorse umane, per quel che possono.
Questo editoriale nasce da un confronto serrato che ho avuto con un pubblicitario, il quale dopo avermi contattato per vendermi la pubblicità della sua agenzia entrava in casa mia invitandomi a cambiare linea editoriale, cioè a mettere in secondo piano la qualità per una precisa strategia di marketing. «Adesso capisco, perché le testate nascono e muoiono», gli ho detto prima di interrompere una discussione che mi ha fatto salire il sangue al cervello. Non è l’unico a fare discorsi di questo tipo. Viviamo in una realtà gestita dal dio denaro, salvo poi renderci conto che soltanto chi ha idee valide e fornisce servizi utili riesce ad andare avanti. Sono tanti gli editori on line che, dopo un anno di attività, chiudono battenti. E lo sapete perché? Perché inseguono i numeri a tutti i costi senza badare al contenuto, senza una linea editoriale precisa.
Pur di avere un pezzo in più al dì, si tenta l’impossibile sfruttando l’intelligenza delle persone e calpestando la loro dignità. E, mentre i siti cloni si moltiplicano, noi andiamo oltre i CPM e i CPC per metterci al servizio dei lettori come hanno fatto le migliori firme del giornalismo nazionale e internazionale. I miei modelli di riferimento sono Matilde Serao, Indro Montanelli e Oriana Fallaci, gente che scriveva per passione. Il giornalismo è una missione. Se si scrive soltanto per i soldi, si svaluta una professione nobile che deve sempre mettere al centro l’informazione autentica. Da direttore, m’impegnerò in prima persona affinché Cultura & Culture possa essere sempre di più una fucina d’idee, una sorta di laboratorio dove crescono i talenti veri, e non si confonda nella melma dei portali spazzatura. Scriveremo solo di quegli argomenti che ruotano intorno a specifiche parole chiave, come creatività, autenticità, qualità, diversificazione, innovazione, benessere e sviluppo della persona. Buona lettura!