Quando soffrono, le persone accusano in genere gli altri o loro stesse per il fardello che sono costrette a sopportare. Rinnegano ciò che provano in genere facendo uso di pillole per guarire dalla depressione o dall’ansia. Eppure, quando arriva la felicità, anziché assaporarla attimo per attimo, loro ritornano nel dolore, forse perché temono che quei momenti di Luce possano svanire di colpo proprio come sono arrivati. La Medicina Occidentale ha trovato un nome e di conseguenza una pillola per ogni Stato Mentale, dimenticando che tutte le emozioni, anche quelle che noi definiamo negative, sono il sale della vita. Senza di esse, uomini e donne sarebbero degli automi, privi dell’energia universale che si trova in ogni cosa. Definiamo anormale ciò che invece è naturale. Nel film per la Tv “Un solo desiderio” (2010), diretto da Felix R. Limardo, il protagonista Jake Wylie chiede all’Angelo – che vuole ricompensarlo per aver salvato una bambina da un brutto incidente – di non far soffrire mai più sua figlia, Molly. Lui è disposto a prendersi ogni dolore della figlia. Il desiderio di Jake viene esaudito e la vita di Molly si trasforma in un inferno. La ragazza non prova più nulla: i dolori fisici e interiori svaniscono, come anche la capacità di gioire. Molly è un robot che non soffre per l’amica morente o per non poter fare il saggio di danza.
Il dolore ravvivava la ragazza, facendole apprezzare anche i momenti più belli che la vita inaspettatamente le riservava. Il film rende benissimo l’idea di quello che ci potrebbe capitare se la nostra esistenza fosse priva di emozioni anche negative. La sofferenza è tremenda, fa male, ma, se essa viene trasformata e non si cronicizza, ci mantiene vivi, facendoci affrontare le sfide con la fiducia di chi sa che dietro ogni nuvola splende il sole.
m.i.