Qualche giorno fa, stupita dagli innumerevoli perché del mio nipotino di quattro anni, riflettevo sull’umanità in cammino e ripensando alle tante guerre che stanno devastando interi territori mi ponevo, come mio nipote, il fatidico perché. Ieri, poi, quando è arrivata la notizia dell’attentato al centro commerciale di Nairobi nel cuore del Kenya, ho rivisto i tanti Kapuscinski, Terzani, Fallaci, Montanelli che per dare una risposta ai nostri interrogativi si sono avventurati in luoghi lontani e impervi. I bambini, più degli adulti, sono curiosi, liberi da condizionamenti e desiderosi di apprendere. Con cuore puro e ingenuo, senza alcun paradigma o pregiudizio, ti guardano e ti chiedono: perché? Spesso ti fanno sentire impotente, impreparato e non sai cosa rispondere. In realtà, in una società logorroica e frenetica, non c’è più spazio per la riflessione, per l’autoanalisi, per la meditazione, per l’approfondimento e soprattutto per le risposte ai perché. Le notizie ci arrivano veloci, una di seguito all’altra, tanto da sembrare a volte senza senso. Esse giungono dalla radio, dalla tv, addirittura sul cellulare e soprattutto dal web. Sappiamo tutto e siamo sempre aggiornati su cosa accade dall’altra parte del globo e su cosa fa più tendenza, ma poi, quando un bimbo di quattro anni ci chiede magari cosa mangiano le formiche o come fa il cane ad abbaiare o perché esiste l’erba, lo guardiamo attoniti, a volte infastiditi. La verità è che siamo talmente aggiornati da aver completamente annientato la parte più bella di noi: la curiosità, cioè quella caratteristica che ci fa vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, che ci fa apprezzare gli eventi positivi e guardare con altri occhi quelle situazioni che definiamo brutte, per carpirne il senso più profondo, in modo da trasformarle in fatti positivi per noi e per gli altri. Ecco, su Cultura & Culture stiamo proprio tentando di risvegliare la nostra e la vostra curiosità sopita. Continuate a seguirci.
m.i.