La storia la scrivono i vincitori, non si dice sempre così? Pratica all’apparenza assai anti democratica, succede però che i battuti, spesso dimenticati, acquistino fama all’improvviso, escano dall’oblio e vivano la gloria proprio grazie alle sconfitte subite. “La gloria dei vinti. Pergamo, Atene, Roma”, in mostra fino al 7 settembre al Museo Nazionale Romano presso Palazzo Altemps, riporta alla memoria l’epopea perdente dei Galati, un popolo celtico proveniente dalla Tracia e stabilitosi in Galazia, una regione dell’Asia Minore. Assai temuti da tutte le genti del territorio, i Galati saccheggiavano e conquistavano senza trovare ostacoli, fino a quando conobbero una bruciante sconfitta per mano di Attalo I, signore di Pergamo, nel 240 a.C. La vittoria conferì al greco il titolo di re e gli fece vivere un momento di enorme fama, mentre sprofondò i “Galli” (come venivano chiamati da Greci e Romani) nell’umiliazione.
L’esposizione celebra i 500 anni dal ritrovamento di dieci sculture che facevano parte del cosiddetto Piccolo Donario Pergameno, opera ordinata da Attalo I proprio per celebrare quella storica vittoria e appartenente al Grande Donario, una struttura più imponente. Delle statue, grandi a due terzi del vero ed esposte per la prima volta insieme, si venne a conoscenza nel settembre del 1514 tramite una lettera di Filippo Strozzi il Giovane, uomo politico e banchiere fiorentino, a Giovanni Pioppi in cui si raccontava di come Alfonsina Orsini, moglie di Piero de’ Medici, acquistò delle piccole statue trovate in uno scavo effettuato da alcune monache, portandole a Palazzo Medici a Roma (oggi Palazzo Madama).
Queste rappresentano soltanto i Galati vinti e non i Greci vincitori. Le sculture, copie romane degli originali in bronzo che si trovano sull’Acropoli di Atene, raffigurano soldati Galati, giganti, amazzoni e Persiani, tutti o quasi stesi per terra, morenti o sofferenti, supplichevoli, uccisi. La plasticità delle figure è una delle caratteristiche più sorprendenti. I muscoli dei guerrieri sono infatti possenti, tesi; le loro corporature non tradiscono esitazioni, ad esaltare ulteriormente la grande impresa compiuta da Attalo e i suoi uomini; capelli e barba sono lavorati a trapano. I marmi utilizzati sono di diversi tipi: da quello bianco a quello bianco-grigio, dal tipo greco asiatico al peperino, fino al marmo di Paros e all’alabastro. Le sculture, in tutto 17, sono collocate nella stessa sala del “Galata Suicida”, in esposizione permanente nel palazzo.
Appartenente, assieme al “Galata Morente” conservato nei Musei Capitolini, al Grande Donario Pergameno, esso raffigura il re avversario nell’atto di uccidersi, dopo aver assassinato la moglie che giace ai suoi piedi.
L’uomo è fortemente caratterizzato dal punto di vista della sua provenienza geografica con zigomi alti, capelli folti e lunghi e una collana torque al collo, tutte caratteristiche che sottolineano lo sguardo attento e profondo degli artisti di Pergamo. L’atto di suicidarsi conficcandosi una spada poco sopra il cuore, in un gesto eroico che esalta il suo coraggio, aumenta di riflesso la grande impresa compiuta dal sovrano di Pergamo nella decisiva vittoria ottenuta presso le sorgenti del fiume Caïcus.
A distanza di duemila anni, Palazzo Altemps restituisce dunque ai Galati sconfitti il tributo alla loro controversa ma affascinante memoria.
Paolo Gresta