Andrea Ravo Mattoni è un artista di origini varesine la cui fama ha da tempo superato i confini nazionali. Figlio d’arte, dall’ingegno multiforme e con una spiccata capacità di dialogo con il classicismo, Andrea ha recentemente attirato l’attenzione del grande pubblico grazie all’opera d’arte murale realizzata su un pilastro della rotonda di Via Belforte a Varese e ispirata ad un capolavoro del maestro Michelangelo Merisi, risalente al primo ‘600 e per secoli dimenticato. Mattoni è attualmente impegnato in numerosi progetti, che vanno dalla partecipazione a un festival di Street Art in Centro Italia alla mostra che a breve sarà presentata a Torino, a dimostrazione di come questi giovani artisti non possano essere imbrigliati in una categoria – la Street Art appunto – che, per quanto ampia possa essere la definizione, finirebbe immancabilmente per restringere il loro campo d’interesse.
Innanzitutto vorrei sapere come ti sei scoperto artista. La tua formazione, i tuoi punti di riferimento e l’aspirazione che ti muove.
Vengo da una famiglia di artisti, dunque l’approccio all’arte è per me stato estremamente naturale fin da piccolo; la decisione è maturata più o meno in seconda media. I miei punti di riferimento principali sono stati mio padre Carlo, i suoi consigli e la sua presenza costante nel mio percorso di formazione, e i disegni e i quadri di mio zio Alberto e mio nonno Italo Giovanni Mattoni, entrambi morti, prima che io potessi conoscerli.
Ultimamente hai attirato l’attenzione dei media d’arte italiani con la tua riproduzione su muro de “La cattura di Cristo”, un dipinto del 1602 del Caravaggio, nell’ambito del progetto “Urban Canvas” a Varese. Lasciami dire che lo ritengo un vero capolavoro e mi piacerebbe che tu ne parlassi ai lettori di “Cultura & Culture”. Perché Andrea Ravo Mattoni ha deciso di reinterpretare questo particolare lavoro del maestro lombardo e in che modo lo ha fatto?
È l’inizio di una serie di lavori che avevo in mente, riguardano il recupero del classicismo, attraverso l’utilizzo della bomboletta spray. Ho iniziato con questo dipinto del Caravaggio perché mi piace particolarmente e ho trovato sempre interessante la sua storia, il fatto che sia stato “dimenticato” per cosi tanto tempo. In secondo luogo, il mio interesse è quello di riportare a un pubblico più ampio questi capolavori, ingrandendoli a dismisura, facendoli fuoriuscire in maniera dirompente dai musei, ridonandoli così al maggior numero di persone possibili. Io, in realtà, sono solo un tramite, la mia è un’operazione molto più vasta di quello che si può vedere.
Questa tua rilettura in chiave contemporanea di un classico ha permesso a un numero sicuramente maggiore e crescente di persone di fruire non di una, ma di ben due opere d’arte simultaneamente. Hai in progetto di proporne altre su muro in futuro?
Sì, sto per lavorare su un’altra opera del Caravaggio, ma le prossime saranno anche di altri artisti, opere che ho sempre amato e ammirato.
Seguendo il tuo lavoro non ho potuto fare a meno di notare un’ampia serie di disegni a matita dal titolo “I veri nobili”. Mi parli del progetto e del suo messaggio?
Il progetto “I veri Nobili” è una sorta di diario a immagini delle persone che ho conosciuto durante la mia formazione artistica e che hanno direttamente o indirettamente influenzato il mio percorso, è un omaggio, un tributo a quello che ritengo la parte essenziale di un rapporto, il dialogo diretto, faccia a faccia, non filtrato da uno schermo. La prima tappa espositiva di questo ciclo sarà presentata a Torino alla Galo Art Gallery il 18 giugno 2016.
Anche quando non lavori ai muri onori costantemente i maestri del passato, magari collocando i loro personaggi in scene contemporanee, come ad esempio l’omaggio a Georges de La Tour e alla sua “Maddalena penitente” del 1630 con il tuo pastello “La ricerca di se stessi” in cui la figura è posta davanti a un tablet. Qual è il loro significato?
Sono un tentativo di dialogo fra un presente, asfissiante, veloce e sempre più superficiale e un passato colto, immenso e sempre pronto a insegnarci qualcosa. È semplicemente un tentativo, un anello di congiunzione, un desiderio che ho sempre avuto.
Invece che mi puoi dire delle teste sanguinanti di personaggi pubblici, per lo più appartenenti al mondo politico?
Il progetto “Acherontia Atropos” è un lavoro in via di sviluppo, dove sto riflettendo sulla violenza verbale, sempre più dilagante, soprattutto sui social network e sulle testate online; si tratta di una riflessione sui cosiddetti “Leoni da tastiera”, non descrive una mia presa di posizione nei confronti delle persone ritratte, ma è la rappresentazione di un desiderio e di un’ideologia sempre più populista, ignorante e verbalmente violenta, quale la nostra società al giorno d’oggi.
Cosa rappresenta per te l’arte murale?
Dipende, se l’arte murale è in luoghi esterni, rappresenta e ha sempre rappresentato nella storia dell’arte un dialogo diretto con il pubblico, un contatto molto più forte, dove è l’opera che raggiunge il fruitore in maniera anche improvvisa, non è infatti lo spettatore che la cerca nella maggior parte dei casi, è un qualcosa di molto più forte, è arte pubblica!
Stai lavorando a nuovi progetti in questo ambito artistico?
Sì, sto per realizzare una serie di lavori, sempre dedicati al recupero del classicismo, in dei luoghi estremamente affascinanti, grazie a due mecenati illuminati. Successivamente parteciperò ad un grosso festival di street art nel centro Italia.
Ho letto che lavori con diverse gallerie. Stai preparando esposizioni?
Come già accennato in precedenza, farò un’esposizione alla Galo Art Gallery di Torino il 18 giugno, dove esporrò la serie “I veri Nobili”.
Spesso gli street artist collaborano tra loro. Tu l’hai mai fatto? Con chi ti piacerebbe lavorare e per quale motivo?
Sì, collaboro da diversi anni con Seacreative, Refreshink, Vine, Borse e Kraser, siamo un gruppo affiatato, eravamo membri di diverse Crew di writing negli anni Novanta, e ora collaboriamo assieme da diverso tempo, siamo diventati noi stessi una Crew di “street artist” se così ci volete definire.
Chiudo con un’ultima richiesta. Dimmi una cosa dell’artista Andrea Ravo Mattoni che non hai mai detto in precedenza.
Mi bocciarono in secondo Liceo Artistico, abbandonai quella scuola e m’iscrissi a perito elettronico. Furono gli anni più belli e, al contempo, i più formativi, disegnavo tutto il giorno e i professori pian piano accettarono la cosa e m’incoraggiarono nelle mie scelte: non ricordo più nulla di elettronica, ma so disegnare molto bene! Successivamente mi iscrissi a Brera nel corso di pittura.