Il 5 novembre 2012, Ascanio Celestini ha presentato il suo nuovo libro “Pro Patria” alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri a Napoli. Libro nato da una sua omonima rappresentazione teatrale che è stata, come tutti i suoi precedenti spettacoli, l’ennesimo successo di uno dei più grandi registi e drammaturghi italiani.
«Ho voluto raccontare la storia di un detenuto che è in carcere da più di 30 anni. Un carcerato che, durante tutti i suoi anni di galera, ha avuto modo di ricevere un’importante formazione politica: sia grazie alla frequentazione di detenuti reclusi non tanto per aver commesso reati, ma per aver combattuto per degli ideali, sia grazie all’accesso alla biblioteca della prigione. Il detenuto protagonista della mia storia, infatti, ama leggere Mazzini, Felice Orsini, Ciro Menotti, i Fratelli Bandiera. Personalità che l’anno scorso, durante i festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia. sono state celebrate come eroi. Padri della nostra patria, considerati però, al loro tempo, veri e propri terroristi. Mi è da subito piaciuta l’idea che il protagonista leggesse dei libri considerati innocui dai suoi carcerieri, ma che, nella realtà dei fatti, sono vere e proprie bombe ad orologeria che permettono al detenuto di evadere (anche se solo mentalmente) ogni volta che vuole».
Celestini , con questo nuovo lavoro culturale ed umanitario, si rende così portavoce di realtà di cui oggi si preferisce parlare poco: «Il mio racconto non si ferma all’ergastolano protagonista: una figura altrettanto importante è indubbiamente il “Negro matto africano”, che rappresenta l’immigrato di oggi, quello che molto spesso viene incarcerato non per quello che ha fatto, ma per quello che rappresenta. Il carcere di cui voglio parlare in questo libro è un luogo che ho personalmente vissuto più volte attraverso visite e interviste, una tappa importante nel mio percorso artistico e umano durante questi anni. Un carcere in cui è possibile solo affacciarsi alla finestra della storia passata, guardare indietro senza poter guardare più avanti».
Celestini racconta di come al giorno d’oggi le prigioni sembrano somigliare sempre di più alle istituzioni del manicomio, luoghi in cui è più facile perdersi che ritrovarsi. A sentirlo, sembra che sia ritornato Cesare Beccaria a parlarci di quanto sia contrario alla tortura e alle pene fini a loro stesse. Beccaria era contrario alla pena di morte, ma non alla carcerazione. Nonostante questo si opponeva all’ergastolo che considerava anche peggio della morte. Celestini, proprio come il grande illuminista milanese aveva già fatto, ricorda a tutti che il carcere serve di più a chi ne resta fuori e cerca di comportarsi bene per non entrarci, soprattutto date le condizioni in cui si ritrovano al giorno d’oggi i detenuti.
«Un maiale per essere macellato ha diritto a sei metri quadri imposti dalla legge, un detenuto in Italia quando va bene si ritrova a vivere in una cella di sette metri quadri se doppia, di quattro se singola. Ciò che ci differenzia in negativo è che le pene alternative qui da noi sono quasi inesistenti. Nulla di più inutile e sbagliato: non dovremmo mai dimenticare, infatti, che un individuo, soprattutto quando sbaglia, non dovrebbe smettere di rendersi utile alla società».
Maria Rosaria Piscitelli