Anna Politkovskaja sosteneva che l’unico compito del giornalista è quello di scrivere ciò che vede. Anna ha raccontato la verità a costo della vita stessa. Molti sono i giornalisti che, come la Politkovskaja, documentano ciò che vedono, correndo seri pericoli in zone spesso dimenticate, dove conflitti sanguinari mettono a dura prova intere popolazioni. Barbara Schiavulli è una giornalista free lance che ha vinto diversi premi e ha scritto alcuni libri, quali Le farfalle non muoiono in cielo. Storia di una Kamikaze che non voleva morire (La Meridiana) e Guerra e Guerra. Una Testimonianza (Garzanti). Ultimo “La guerra dentro” (youcanprint).
Il giornalismo, per Barbara Schiavulli, è una passione nata durante l’infanzia: «Mia madre, sin da quando io ero bambina, è stata sempre impegnata per i diritti civili e umani; credo lei mi abbia trasmesso la sua propensione a combattere le ingiustizie – spiega Barbara a Cultura & Culture -. Fare giornalismo per me significa essere testimone di quello che accade nel mondo, raccontando delle storie affinché esse non vengano dimenticate». Ma è sempre più difficile oggi trovare spazio sui giornali italiani per un reporter di guerra: «Purtroppo in Italia si dà poco spazio agli Esteri – precisa -. I giornali non vogliono pagare e questo tipo di lavoro non si può fare a basso costo, in quanto nelle aree di crisi si rischia la vita quotidianamente».
Nel nostro Paese, precisa la Schiavulli, «c’è in atto un tentativo, riuscito tra l’altro, di controllare la massa, maltrattando non solo gli Esteri ma anche la Cultura in generale». Eppure, nel momento in cui allarghiamo i nostri orizzonti, comprendiamo meglio anche le dinamiche sociopolitiche dell’Italia. Lo sa bene la Schiavulli, che si è recata in Iraq, quando nessun giornalista italiano poteva varcare le frontiere di quel Paese: «Nel 2005, dopo il sequestro della Sgrena, la Farnesina ha chiesto alle redazioni dei giornali di non mandare i loro corrispondenti in Iraq. Io non essendo assunta da nessuna Testata, ho deciso di andarci comunque, a mio rischio e pericolo». La sua esperienza giornalistica nei luoghi di guerra è al centro de “La guerra dentro”, nel quale, afferma, «mi sono occupata dei militari, narrando alcune storie e soffermandomi sulle loro emozioni, a differenza di quanto ho fatto nelle altre due pubblicazioni, dove ho scritto solo di civili». La reporter precisa che si era stancata di scrivere dei soldati solo quando muoiono. «Le persone, quando vanno in zone di guerra, non tornano mai com’erano prima di partire – afferma -. I conflitti cambiano anche i giornalisti, a volte in modo positivo, perché i viaggi ti fanno comunque crescere. In guerra tuttavia non esistono vie di mezzo; in quel contesto ti accorgi come diventa l’essere umano nelle situazioni più difficili, dove non ci sono sotterfugi, né nascondigli. Lì sei solo con la tua paura, con il tuo coraggio e con la voglia di lottare».
m.i.