Siamo al Palazzo delle Esposizioni di Roma per visitare la rassegna su Fernando Botero. Durante il percorso – allestito fino al prossimo primo maggio – ripercorriamo le quattordici stazioni della Via Dolorosa. La serie di opere in mostra è stata donata dal pittore colombiano al Museo d’Antioquia di Medellín, città che gli ha dato i natali. L’esposizione, che s’intitola Via Crucis, la passione di Cristo, è composta di tre sale e si apre con i dipinti a olio, la maggior parte dei quali di grandi dimensioni, ponendo immediatamente all’attenzione del visitatore il profondo cambiamento avvenuto nell’arte boteriana: qui in effetti il dolore e la sofferenza posti così in primo piano finiscono per colpire ancora più profondamente in virtù del forte contrasto tra le forme e le espressioni. Fernando Botero, noto per aver costruito un mondo figurativo popolato da esseri sensuali immuni al degrado del tempo e alla miseria morale, con il ciclo della Via Crucis ha scelto di fare un’incursione nel dramma. Pur mantenendo le ben note forme dilatate, esse finiscono per deformarsi sotto il peso della tragedia. Visitando la mostra di Roma, l’osservatore si trova davanti un Cristo sconfitto, liberato da ogni elemento divino, come nella grande tela dal titolo Maria e Gesù morto (2011): le labbra blu, la posizione del corpo senza vita e l’espressione del volto mariano creano, in contrasto con la rotondità dei volumi, questa dicotomia di forte impatto immaginifico. Il tono ironico che ha sempre caratterizzato i precedenti lavori del maestro colombiano è qui sostituito da uno sguardo compassionevole che consente di riflettere profondamente intorno alla crudeltà della Passione. Un sentimento questo che, a mio parere, viene restituito con grande intensità e forza dalle varie opere che ritraggono l’afflizione della Vergine o in quadri come Veronica in cui la grande pulizia formale e la quasi totale uniformità del colore pongono l’accento sul velo, ove vi è impresso il volto del Cristo morto, e sull’emozione restituita dal viso di colei che lo dispiega, tenendolo ben aperto perché lo spettatore sia costretto a contemplare la sofferenza del Salvatore.
Mentre si osservano le tele di Botero esposte a Roma, nelle prime due sale, ci si rende conto di quanto il pittore sia debitore, nel trattamento della tematica della Passione di Cristo, agli antichi maestri dell’arte occidentale: egli li omaggia qui soprattutto attraverso la rielaborazione di alcune delle loro soluzioni formali, come per esempio la cura per la prospettiva di Paolo Uccello, il patetico espressionismo di Grünewald o la chiarezza compositiva di Piero della Francesca. In particolare, l’influenza di quest’ultimo è talmente forte e radicata da risultare praticamente onnipresente negli espedienti compositivi utilizzati per questo ciclo, a iniziare da Ecce Homo e dalla Flagellazione di Cristo del 2010, ovvero, da Gesù e Veronica realizzata l’anno seguente. Secondo quanto affermato dallo stesso Fernando Botero, l’immissione del dramma nelle sue opere dev’essere attribuita a una presa di coscienza interiore dello stesso, che a partire dai cicli La violenza in Colombia e Abu Ghraib – il primo rappresentante la reazione dell’artista a decenni di un terribile conflitto poi sfociato in una guerra civile non riconosciuta ed il secondo l’orrore causato dalla scoperta degli abusi e dei crimini di guerra perpetrati dai soldati statunitensi in Iraq – si è reso conto che l’arte ha la capacità sociale di evidenziare, di promuovere il ricordo di certi avvenimenti e azioni. E questo spiega anche il motivo della presenza di personaggi e luoghi a noi contemporanei nelle opere in mostra a Roma. Una presa di posizione forte del maestro sul piano ideologico e politico che potenzia e arricchisce queste sue tele: siffatte figure stridono talmente tanto nel contesto che non possono assolutamente sfuggire all’occhio, né – tantomeno – non indurre immediatamente a una riflessione sull’attuale situazione socio-politica mondiale. E chi visita la mostra s’immerge fin da subito in quest’atmosfera, dato che uno dei primi quadri che si trova di fronte è la Crocifissione del 2011 in cui è raffigurato un Gesù Cristo verdastro – evidente richiamo all’opera del tedesco Matthias Grünewald che nel periodo rinascimentale realizzò delle importati crocifissioni ricche di note drammatiche proprio in virtù del particolare trattamento della luce e del colore (si veda l’altare di Isenheim) – inchiodato a una croce posta in quello che sembra essere Central Park a New York; la figura è in questo caso monumentale sia per i suoi volumi, sia perché l’occhio la mette a confronto con i minuscoli passanti presenti nel parco, dei quali solo due si fermano a contemplare la scena della crocifissione, mentre gli altri proseguono le loro attività quotidiane nella totale indifferenza di quanto sta accadendo. Messaggio forte e chiaro direi. Varrà la pena richiamare anche un’altra tela a tal proposito: Il bacio di Giuda (2010). Qui – guarda caso – Giuda non solo veste i panni di un contemporaneo, ma si differenzia dagli altri personaggi anche per i colori impiegati da Botero: vivaci e pieni nel caso della moltitudine, tetri e sbiaditi – a suggerire l’idea di una deviazione – quelli riservati al traditore.
L’ultima sala dell’esposizione è dedicata alle opere su carta del ciclo. Acquerelli o carboncini che siano, è impossibile non notare quanto essi siano diversi dai dipinti a olio caratterizzati da tinte forti e pennellate uniformi. Le opere su carta sono molto più delicate: i colori sempre accesi ma sfumati, il tratto si deciso ma spesso non finito, porta l’occhio a tralasciare il contesto – che spesso è del tutto assente – ed a focalizzare la propria attenzione sulle figure o su un determinato particolare, risultando nell’insieme di minor impatto drammatico e realizzando un tipo di visione ancora coinvolgente, ma ben più distesa. La mostra di Roma è breve, ma molto intensa e fornisce una nuova chiave di lettura per interpretare l’opera di uno dei più importanti maestri dell’arte contemporanea. Fernando Botero, artista sempre controcorrente che ha saputo dar vita a un linguaggio immaginifico unico nella storia dell’arte, con la sua Via Crucis fornisce una nuova forma alla drammaticità della Passione di Cristo riuscendo a non tradire prima di tutto se stesso e il suo linguaggio pittorico e poi l’iconografia tradizionale della tematica, creando dunque un equilibrato connubio tra due slanci creativi verosimilmente opposti. Il mio consiglio però è certamente quello di visitare la rassegna di Roma al fine di poter valutare con i propri occhi l’entità e il peso di questa evoluzione nell’immaginario boteriano. N.B: puoi visitare la rassegna dal martedì al giovedì dalle 10 alle 20; il venerdì, il sabato e la domenica dalle 10 alle 22 (escluso il lunedì, giorno di chiusura del Palazzo ubicato in via Nazionale, numero 194, Roma).