“Cent’anni di solitudine” (1967) è un romanzo di 405 pagine, nelle quali Gabriel Garcìa Márquez racconta le vicende di generazioni di uomini e donne della famiglia Buendìa, partendo da Macondo, un villaggio (…) di venti case e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane (…). Nel romanzo c’è molto della Colombia, patria dello scrittore che ha fatto la storia della Letteratura sudamericana e non solo, creando un genere che esprime appieno il folclore ma anche la magia del Sud America, dove le favole dei padri si perdono nella notte dei tempi. Quel genere letterario fu chiamato “Realismo Magico”: la realtà viene così plasmata di magia. Un mondo creato grazie alle storie raccontate dalla nonna e che l’umanità ha conosciuto e apprezzato attraverso i suoi meravigliosi e intensi libri, da “Cronaca di una morte annunciata”, una metafora dell’assurdità della vita, a “L’amore ai tempi del colera”, dal quale è stato tratto anche un film del 2007, da “Nessuno scrive al colonnello” a “Il generale nel suo labirinto”. Gabriel Garcìa Márquez si è spento il 17 aprile all’età di 87 anni in un ospedale di Città del Messico, ma il suo spirito sopravvive nelle sue opere.
Con “Cent’anni di solitudine” lo scrittore e reporter, amico di Fidel Castro, ricevette il Premio Nobel per la Letteratura nel 1982. Durante il suo memorabile discorso parlò delle guerre, dei colpi di stato, dei desaparecidos e soprattutto della solitudine del Sud America e dei sudamericani che non vengono capiti dal resto del Mondo. Poi auspicò una società migliore, in cui “le stirpi condannate a cent’anni di solitudine abbiano una seconda opportunità sulla terra”. Riposa in pace grande uomo. Riposa in pace Gabriel Garcìa Márquez.
Per approfondire la vita dello scrittore colombiano, potete leggere la biografia, edita da Mondadori, “Vivere per raccontarla”.
Maria Ianniciello