La dipendenza affettiva affligge molte persone in Italia, quante non è facile stabilirlo tramite la statistica. Il dato di fatto è che questa problematica crea notevoli disagi sia in chi la subisce che in chi ne è affetto. Ma come uscire dalla dipendenza affettiva? E come si presenta questo disagio? A rispondere è la psicologa Ameya Gabriella Canovi in un libro che si intitola come il suo blog: ‘Di troppo amore’.
Edito da Sperling & Kupfer, con prefazione di Selvaggia Lucarelli, il volume assume toni confidenziali che rendono la lettrice e il lettore parte attiva ed integrante di un lavoro di scrittura che la psicologa sembra aver svolto con passione ed estrema dedizione.
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Canovi racconta anche di alcuni momenti salienti della propria vita dando al volume una dimensione non cristallizzata e arroccata nelle sole teorie psicoanalitiche che poi risulterebbero difficili per i non addetti.
Ma che cos’è la dipendenza affettiva? “Si tratta di un malessere occulto e pervasivo che avvelena le relazioni”. La richiesta eccessiva d’amore nasconde, secondo Ameya Canovi, una fragilità, perché chi è solido, ben radicato e realizzato non sente il bisogno di aggrapparsi a persone, sostanze, comportamenti disfunzionali.
La psicologa spiega quindi che la dipendenza affettiva è cambiata con il tempo in linea con le nuove tendenze e con il mutamento dei ruoli all’interno della coppia. La donna che oggi soffre di questo disagio è spesso forzatamente efficiente e in forma, più realizzata, ma afflitta da un misto di tristezza, rabbia e impotenza. Per gli uomini, invece – si legge nel libro – la figura che più spesso causa problemi col mondo femminile è il Narciso. Ma le figure sono varie sia tra le donne che tra gli uomini.
In ‘Di troppo amore’ Ameya Canovi propone due lenti attraverso cui guardare: la psicodinamica e la teoria sistemica. La prima permette di osservare i meccanismi psichici di attaccamento, proiezione e interiorizzazione. La seconda viene applicata allo studio delle famiglie e agli schemi familiari che tanto ci influenzano.
L’autrice sostiene in sintesi che la dipendenza affettiva crea una sofferenza atroce nella persona – che sente di non poter esistere senza l’altro – e narra alcune storie di pazienti che ce l’hanno fatta, che hanno avuto il coraggio di guardarsi dentro per spezzare schemi e legami malsani.
Il dipendente affettivo chiede al partner ciò che un genitore (o entrambi i genitori) non ha saputo dare perché non solo era sprovvisto degli strumenti di conoscenza ma innanzitutto perché era arido a sua volta d’amore. Infatti – dice la psicologa – se una madre e un padre sono spezzati non possono donarsi integri ai figli. Non si tratta dunque di perdonare (nessuno può perdonare un altro individuo) bensì di accogliere ciò che ci è stato fatto mediante la gratitudine di essere al mondo grazie a chi ci ha dato la vita.
Di conseguenza la relazione amorosa, afferma Canovi, non può essere un legame sostitutivo di quello genitoriale. Ognuno deve poter svolgere il proprio ruolo; se i ruoli sono confusi tutto è confuso, anche i sentimenti e di conseguenza le azioni sono confusionarie.
Per uscire dalla dipendenza affettiva ciascuno deve ricoprire il proprio ruolo all’interno della coppia, riuscendo a rispondere ad un’intrinseca richiesta d’amore partendo da sé senza delegare all’altro o all’altra la propria felicità.
‘Di troppo amore’ è un saggio coinvolgente, molto pratico perché spiega come uscire dalla dipendenza affettiva anche con l’ausilio di esercizi e di schede di lavoro. Il libro è un condensato di contenuti interessanti che allargano lo sguardo, la mente e il cuore ma da solo è ovvio che non può bastare, soprattutto se la dipendenza affettiva è invalidante e patologica. Questo saggio è tuttavia un buon inizio per conoscere e conoscersi. Maria Ianniciello
Trovi il libro ‘Di troppo amore’ di Ameya Gabriella Canovi qui