Musicista, cantante, attore ma anche designer e pittore. David Bowie è un artista nel vero senso del termine. Il Duca Bianco ha sempre mostrato una forte attrazione non solo per la musica, ma per tutto ciò che stimola la sua curiosità e creatività, dalle persone agli oggetti, dall’amore alla moda, dalla politica alla religione. Forme di espressione e discipline che gli consentono, da decenni, di giocare con note, parole, emozioni e colori e di realizzare progetti di straordinaria intensità e di rara bellezza. In questi giorni è stata inaugurata una mostra speciale che ha riportato a Berlino, città molto cara a Bowie, l’arte e lo stile dell’artista britannico. Al Martin Gropius Bau, fino al 10 giugno, sarà possibile ammirare oltre 300 oggetti che appartengono a David Robert Jones (vero nome dell’artista inglese) e immergersi completamente nel mondo bowieniano, fatto di costumi, testi, foto, film, strumenti, video, copertine e altri gioielli del suo archivio privato. Il rapporto che lega David alla Germania è molto forte. Proprio nella capitale, alla fine degli anni Setanta, il cantante ha dato alla luce la celebre “Trilogia di Berlino”, tre fantastici album che hanno segnato la storia della musica mondiale.
E’ il 1976 quando Bowie si trasferisce a Berlino Ovest, per ripulirsi dalle droghe, lasciarsi alle spalle il glam rock e dare una svolta alla propria carriera. In quel periodo tutte le sue energie sono rivolte alla ricerca in ambito musicale e artistico. Minimalismo, musica ambient e “astratta” lo portano a cambiare radicalmente la produzione discografica, lontano dal pop e dal rock che hanno caratterizzato i lavori precedenti (qui è palese l’influenza di artisti come Brian Eno e Iggy Pop, al suo fianco in questa fase delicata della sua vita professionale e privata). Nel 1977 esce il primo disco della Trilogia, “Low”. Un enorme passo in avanti per Bowie, un album geniale, difficile e di forte impatto, ma che ben presto diventa di culto, trascinato dal singolo “Sound and Vision”. “Low” profuma di novità: fonde le fredde e sofisticate atmosfere del Nord ai ritmi caldi e deliranti del funk e del r’n’b che risuonano da Sud, creando un disco altamente ispirato e innovativo, capace di influenzare la produzione artistica di molti cantanti e musicisti degli anni Ottanta. I brani contenuti nell’album parlano di nevrosi, isolamento, apatia e violenza, quindi della sfera intima di Bowie, ma vi sono tracce in cui emergono le sensazioni di libertà e di rinascita provate dall’artista in Germania.
Il secondo album della trilogia, il più famoso, è “Heroes”, pubblicato nel 1977. Come nel precedente disco, il nuovo lavoro del Duca Bianco nasce dalla collaborazione con Brian Eno ed è influenzato dalle sonorità dei Neu!, band tedesca che David ammira particolarmente (insieme ai Kraftwerk). “Heroes” prosegue il cammino intrapreso in “Low” ma in chiave più ottimistica, sebbene le atmosfere di molti brani siano malinconiche e dark (come in “Sense of Doubt” e “Neukoln”). La seconda vita di Bowie comincia in questa fase, a due passi dal Muro di Berlino che separa le due facce della Germania ma anche due amanti. Come racconta “Heroes”, singolo estratto dall’omonimo album, pezzo che evoca speranza, forza e romanticismo.
A chiudere il cerchio, ecco “Lodger”, terzo disco della Trilogia Berlinese. Pubblicato nel 1979, l’album è forse il lavoro più sottovalutato della produzione di Bowie. I primi cinque brani affrontano il tema del viaggio (tra questi l’esperienza in Kenya), mentre le restanti tracce sono una critica spietata alla società occidentale. Il disco, filo-esotico e precursore della word music, trae ispirazione sia dalle sonorità made in Deutschland, sia dalla musica turca e raggea, a testimoniare l’anima vagabonda di David, mago dell’eccesso e della creatività, capace di miscelare, come un alchimista, gusti, tradizioni, sonorità, tormenti e bellezze che appartengono alla sua straordinaria sensibilità di uomo e artista camaleontico.
Silvia Marchetti