La recensione e la trama del nuovo libro dello scrittore israeliano che realizza un altro capolavoro. Ecco perché.
Poco prima della fine dell’anno i lettori hanno avuto una grande sorpresa dal 2014 letterario ovvero l’ultimo capolavoro di David Grossman “Applausi a scena vuota” (Mondadori). Lo scrittore israeliano torna nelle librerie con uno stile inedito, molto pirandelliano, e un monologo tutto da ridere e da piangere. Alla soglia dei suoi 57 anni Dova’le, un cabarettista di talento, va in scena in un piccolo locale di Netanya, cittadina a nord di Tel-Aviv, in Israele. Partendo da un umorismo nero particolarmente accattivante ma quasi spiazzante per i presenti, Dova’le abbandona progressivamente l’uso delle barzellette per raccontare al pubblico aneddoti legati alla sua vita di bambino e ragazzo. «Ho provato sulla mia pelle la depressione post-partum», li avvisa Dova’le. «Sì, ma dopo la mia di nascita», precisa scatenando l’ilarità della sala. Ma da ridere ci sarà ben poco perché il suo spettacolo di cabaret si trasformerà presto nella tragedia di una vita. Il racconto di Dova’le prende delle pieghe drammatiche nell’urgenza dell’artista di liberarsi dai suoi traumi di uomo. Ma al pubblico lo spettacolo della sua vita proprio non interessa. La folla è addirittura indignata dalla verità, lo insulta umiliandolo nella continua richiesta di barzellette. E’ per questo che, mentre lui procede con il suo smascheramento, la sala si svuota fino a quando a fargli compagnia rimarranno una sua vecchia fiamma e Lazar, l’amico giudice che lui sembra aver invitato proprio per avere un punto di riferimento autorevole durante l’ammissione/espiazione delle sue “colpe”.
Con amara ironia il cabarettista si inoltra nei meandri della sua memoria per ripercorrere gli eventi che più l’hanno segnato da bambino, quando camminava sulle braccia rifiutandosi di stare in piedi. Un espediente adottato per sfuggire alle botte del padre e alle crudeltà dei suoi coetanei. Definisce il suo carattere “grimaldello”, proprio come il suo monologo dissacrante e cinico nel cui tritacarne finisce proprio tutto, incluse le religioni e le ideologie. Un’infanzia dopotutto ordinaria la sua che diventa d’un tratto un incubo quando Dova’le viene trascinato via dal campo d’addestramento paramilitare per partecipare al funerale di uno dei due genitori. Peccato che nessuno si preoccupi di comunicargli quale, spingendo il bambino a un ragionamento doloroso che lo farà sentire in colpa per il resto della sua esistenza. Per fortuna qualcuno si adopererà per rendergli un po’ più sopportabile l’angoscia durante il viaggio verso Gerusalemme. Mentre prendono vita i ricordi di Dova’le e la sala di cabaret si svuota anche Lazar, entrando in empatia con quel compagno che si era sempre sforzato di apparire un bambino felice, prende coscienza del proprio io per perdonarsi e tornare a vivere dignitosamente. “Per un po’ mi sento colmare di una sensazione dimenticata: la sensazione di essere”, scrive il giudice che all’epoca del racconto di Dova’le si comportò da vigliacco e tenterà di rimediare facendogli da testimone nella ricostruzione della sua identità. “Dova’le mi guarda, si aggrappa, ai miei occhi”, sottolinea Lazar commosso.
Curiosando tra le pagine di Grossman non si può prescindere dalla conoscenza del suo impegno politico a favore di una risoluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese. La lettura dei suoi saggi sull’argomento è essenziale per comprendere le radici di una guerra che da decenni affligge il mondo arabo. Per questo sono in molti a credere che Dova’le e l’intero romanzo di Grossman, pervaso da un forte senso di perdita, non siano altro che una metafora di Israele. Lo è sicuramente ma Applausi a scena vuota è molto di più: un libro “spettacolare”, che troverete impegnativo ma anche esilarante e doloroso, un richiamo alla vita che non potrete rifiutarvi di accogliere.
Rosa Maiuccaro