La recensione del nuovo libro di Galimberti, intitolato ‘Il libro delle emozioni’ (Feltrinelli), esce dopo un evento di portata mondiale e rilevante per le nostre vite affettive e lavorative. Mi riferisco al blackout che il 4 ottobre 2021 per ore ha reso inaccessibili agli utenti di molte zone del mondo i social network Facebook ed Instagram nonché i servizi di messaggistica WhatsApp e Messenger, proprio quando in Italia si votava in alcuni città e regioni per le amministrative e per le regionali.
I giornalisti per comunicare con le redazioni sono dovuti ritornare ai vecchi metodi mentre quanti volevano o dovevano contattare parenti e amici sono ricorsi alle telefonate o agli sms. Per qualche ora siamo tornati indietro nel tempo e io stessa mi sono posta delle domande che già mi ero fatta, seppur marginalmente, leggendo il libro di Galimberti. Mi sono chiesta soprattutto come sarebbe la mia quotidianità senza i social network e come potrei diffondere i miei articoli.
Mi sono sentita molto sola, per la verità, perché le persone a me care apparivano più lontane e quindi irraggiungibili. Abbiamo la sensazione di averle sempre accanto eppure non è così perché le immagini che vediamo sui loro profili sono solo una rappresentazione immobile e piccolissima di ciò che pensiamo che siano, non di ciò che sono realmente nella loro essenza più profonda.
Così ho immaginato cosa accadrebbe se questa nuova realtà, che ci siamo creati, scomparisse e mi sono chiesta: sarebbe meglio o peggio? Secondo me, non sarebbe né meglio né peggio, perché i social erano nati per essere un mezzo dove abbiamo costruito un mondo che però, a mio avviso, possiamo ancora gestire e cambiare.
Proprio questa mattina Riccardo Luna (5 ottobre nda) su la Repubblica scrive che sarebbe opportuno cambiare i social supportando così la tesi del guru della Silicon Valley, Jaron Lanier, secondo il quale i social aumenterebbero i loro profitti se in rete ci comportiamo peggio, ovvero se insultiamo qualcuno, se ci azzuffiamo, se la spariamo più grossa.
Da alcuni documenti, diffusi dal Wall Street Journal, sembra proprio che gli algoritmi della galassia di Zuckerberg mirino alla rissa e a far uscire il peggio dell’umanità. L’ex dipendente e ingegnera di Facebook, Francis Haugen, ha divulgato questi file segreti su cui si basa l’inchiesta del Wall Street Journal rilasciando al contempo un’intervista alla CBS.
Il motivo per cui Facebook avvantaggerebbe gli utenti più potenti e i politici nei loro contenuti, favorendo anche la disinformazione, le fake news, la polarizzazione delle idee e quindi dell’opinione pubblica, sarebbe l’aumento del profitto. Di conseguenza nei giovanissimi (e non solo) si è creato un appiattimento emotivo e un’incapacità di saper trasformare le pulsioni in sentimenti, cosa che tra l’altro caratterizza anche la maggior parte degli adulti. Lo spiega molto bene Umberto Galimberti nel suo nuovo libro.
Galimberti, il nuovo libro. Recensione
Il nuovo libro di Umberto Galimberti entra a pieno titolo in un territorio tuttavia non vergine, perché in libreria ci sono troppi volumi sulle emozioni. Molti di questi dicono poco o nulla, perché sono solo il frutto di operazioni di marketing volte ad aumentare gli introiti delle case editrici. Il libro dell’antropologo, psicoanalista e filosofo invece fa eccezione.
La struttura del libro
La prima parte de ‘Il libro delle emozioni’ si concentra su un aspetto poco trattato, cioè sul dualismo tra anima e corpo creato dal modello platonico. Umberto Galimberti fa riferimento al mito dell’auriga di Platone per spiegarci che tutta la nostra civiltà si è basata sulla separazione netta tra corpo e psiche, considerando indegno il primo, illuminata la seconda. Ne consegue che il nostro patrimonio emotivo, che ha la sua manifestazione nel corpo con specifiche sensazioni psicosomatiche, sia stato visto come inferiore e quindi da sopprimere a vantaggio della razionalità.
Le teorie sulle emozioni si sono susseguite nel corso del tempo, si va dalla teoria di Darwin alle supposizioni di William James e Carl Lange, passando per gli approcci funzionalista e comportamentista fino ad arrivare alle teorie gestaltica, dell’attivazione, percettivo-motivazionale, fenomenologica, psicoanalitica, sociologica, insiemistica, cognitivista, biologica e neuroscientifica.
L’autore fa poi una panoramica sulle emozioni che non sarebbero “eventi irrazionali” perché avrebbero una motivazione basata su bisogni profondi che vanno visti e ascoltati. Dunque, secondo Umberto Galimberti, le emozioni hanno una valenza sociale, siccome sono un nesso tra natura e cultura.
La seconda parte del libro è più complessa, perché l’autore descrive il modello fenomenologico, secondo il quale corpo e mente non sono scollegati. Nella terza parte Galimberti poi si sofferma sulla vita emotiva contemporanea e su come quest’ultima sia stata appiattita dal web e da tutti i dispositivi.
Nella quarta e quinta parte il filosofo sostiene infine che è importante sorvegliare il futuro dei nativi digitali, con una Scuola che prima di tutto educhi, tenendo conto di tutte le intelligenze, non solo dell’intelligenza logico-analitica.
Umberto Galimberti
Conclusioni
‘Il libro delle emozioni’ apre ad una visione del futuro e di noi stessi molto particolareggiata, non scontata e sicuramente innovativa per i profani della materia. Senza semplificazioni, Galimberti ci suggerisce poi di prestare molta attenzione a come interagiamo soprattutto in rete e a non farci annichilire dai dispostivi, che favoriscono derealizzazione e asocialità.
Siamo infatti passati dall’era dell’homo sapiens all’epoca dell’homo videns ed è quindi fondamentale educare alle pulsioni partendo dalla tenera età grazie alla risonanza emotiva che si dovrebbe creare tra la mamma e il neonato. I genitori e la Scuola in primis dovrebbero educare alle emozioni. Mentre i social durante l’adolescenza dovrebbero essere usati con parsimonia.
“Con ciò non voglio censurare la rete che ha creato opportunità (…) ma avvertire che la rete può allontanarci dalle nostre emozioni, sostituendole con quelle pseudo-emozioni che somigliano alle allucinazioni tipiche di chi abbandona un mondo reale in favore di un mondo che reale non è. E per giunta senza che noi ce ne accorgiamo e quindi a nostra insaputa”, scrive Umberto Galimberti.
Si tratta dunque di un libro illuminante che ha tuttavia dei limiti legati al suo carattere strutturale perché in 180 pagine non è possibile sviluppare appieno, in modo esaustivo, un argomento così complesso. C’è però in compenso una buona bibliografia.
La recensione è stata scritta da Maria Ianniciello, comunica con l’autrice su Instagram