Vai a Parigi e visiti il Louvre, la Tour Eiffel o l’Arc de Triomphe, passeggi sugli Champs-Élysées oppure ti fermi a prendere un caffè a Montmartre. Sélène de Condat, fotografa e artista parigina, ci suggerisce invece di scoprire Les égouts de Paris. Uno pensa a un nuovo museo o a un locale nel centro della capitale. No. In realtà sono le fogne, un immenso labirinto di corridoi e cunicoli sotterranei che si estende per più di 2.300 chilometri sotto la Ville Lumière, costituendo il più moderno sistema fognario europeo. Perché concentrarsi su un soggetto tanto brutto quando in superficie puoi godere di centinaia di meraviglie artistiche e architettoniche? Sélène de Condat ce lo spiega con “Ici-Bas.Le fogne di Parigi”, mostra fotografica ospitata dal museo di Roma in Trastevere fino al 27 aprile. 30 gli scatti esposti nel corridoio esterno della struttura capitolina in Piazza Sant’Egidio, che ritraggono l’attività oscura e silenziosa dei 258 uomini e delle 6 donne che ogni giorno si calano nelle viscere della città francese per svolgere il loro lavoro. La de Condat è la prima fotografa in assoluto a scendere assieme agli operai in questo dedalo di gallerie per documentare i gesti e i luoghi di una realtà altrimenti sconosciuta. Il viaggio della fotografa nelle “segrete” parigine ha il valore simbolico dell’inno al lavoro umano e alle cosiddette memorie del sottosuolo, troppo spesso dimenticate a causa dei nostri ritmi di vita frenetici. L’artista inquadra attraverso il suo obiettivo i volti dei fognaioli e delle fognaiole in tuta da lavoro intenti a scendere nella città sotterranea, di cui ogni strada o vicolo in superficie corrisponde esattamente ai suoi corridoi nel sottosuolo.
Uomini e donne che ovviamente trasmettono inquietudine e hanno visi tirati ed espressioni avvilite, ma che comunque indossano guanti e stivali di gomma ed elmetto con lampada e si dedicano al proprio lavoro con rigore e dignità. E’ ovvio che, al di là dell’aspetto artistico, si parla di persone che si muovono quotidianamente in luoghi insalubri e inospitali. Insomma, si tratta pur sempre di quell’impianto fognario che secoli prima ha contribuito in maniera decisiva a combattere la peste e il colera. Non esattamente il lavoro che si sogna da bambini.Ma le fotografie (quasi tutte in bianco e nero) sono attimi di verità strappata al quotidiano di gente la cui presenza è spesso ignorata da chi vive “di sopra” e sono realizzate con la tecnica del chiaroscuro, grazie alla quale l’artista francese riesce a rendere universali le emozioni e i momenti unici della vita di tutti i giorni.
Così facendo la De Condat fa diventare la sua fotografia “un’opera aperta”, come diceva Umberto Eco, un prodotto cioè che si prefigge di adottare le emozioni e il vissuto di ogni spettatore. E il lavoro, durato sei mesi, di questa donna già attivissima nel campo del teatro, della musica e del balletto ci dà testimonianza di centinaia di uomini-ombra attraverso una particolare estetica dello sporco e del rifiuto, simboli di esperienza e di saperi antichi andati perduti.
La mostra è curata da Jean-Ives Quierry e Pierre Higonnet ed è promossa da Roma Capitale, dal comune di Parigi e dall’Institut Français Italia.
Paolo Gresta